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Santi del 23 Settembre

Il mio Santo > I Santi di Settembre

*Sant'Adamnano - Abate (23 Settembre)

Martirologio Romano: Nell’isola di Iona in Scozia, Sant’Adamnano, sacerdote e abate: ottimo conoscitore delle Scritture e instancabile amante dell’unità e della pace, con la sua predicazione persuase molti sia in Scozia sia in Irlanda a celebrare la Pasqua secondo la consuetudine romana.
Nacque circa il 624 a Drumhome, nel Donegal (Irlanda), da una nobile famiglia imparentata con San Colomba, fondatore del monastero di Hy (Iona), dove ben presto anche Adamnano entrò, sotto il governo di Seghino. Distintosi per le sue virtù, nel 679 Adamnano fu eletto successore di Failbhe e divenne il nono abate di Tona. Aifrido, che alla morte del padre Oswy, re di Northumbria, era stato cacciato in esilio dall'usurpatore Ecfrido, si rifugiò presso Adamnano, e dal popolo fu soprannominato Dalta Adhamnain («alunno di Adamnano») a significare i legami di profonda amicizia che lo univano all'abate. Dopo che nel 685 Alfrido, morto Ecfrido, aveva visto riconosciuti i suoi diritti, Adamnano nel 686 fu inviato presso di lui per ottenere la restituzione di alcuni prigionieri catturati da Berct nel Meath: ricevuto con grandi onori, Adamnano riportò completo successo nella sua missione e tornò in Irlanda con sessanta compatrioti.
Nel 688, nel corso di una seconda visita ad Aifrido, Adamnano visitò numerose chiese inglesi e tra esse le abbazie di Wearmouth e di Jarrow, dove l'abate san Ceolfrido lo convinse ad adottare nella Chiesa irlandese l'uso romano per la tonsura e per la celebrazione della Pasqua. Tornato ad Hy, si prodigò, senza notevoli risultati però, per far accettare ai suoi monaci gli usi romani, ma nel 692, visitando l'Irlanda, egli riuscì a convincere il popolo a conformarsi ai precetti generali.
Nel 697 presiedette un Concilio a Birr, alla fine del quale fu promulgata la «legge degli innocenti» (Cain Adomnain, «legge di Adamnano»), volta a preservare le donne e i fanciulli dagli orrori della guerra. Nel 701 Adamnano partecipò al Concilio di Tara, in cui fu condannato un capo tribù, colpevole di un grave delitto: sentenza questa di notevole valore giuridico e sociale, stante la grande tracotanza di quei despoti locali. Nel 704, il 23 settembre, Adamnano morì nella sua abbazia, dove ebbe sepoltura.
Adamnano è patrono di Drumhome e a Raphoe si celebra un Eunan, primo vescovo di quella abbazia, da alcuni identificato con Adamnano. Venerato inoltre nelle contee di Derry e di Sligo, Adamnano gode di un popolare culto presso la Chiesa scozzese, nelle contee di Aberdeen, Banff e Forfar. Sembra che il nome Adam, tanto comune tra gli scozzesi, non sia altro che una corruzione di Adamnan (che, però, secondo Colgan, significherebbe forse «piccolo Adamo»).
Adamnano, che diede notevole impulso allo scriptorium monastico, fu buon latinista, tanto da meritarsi l'elogio di Beda: «vir bonus et sapiens», ma le sue opere sono scritte in un latino un po' rozzo. Probabilmente durante la seconda visita ad Aifrido, nel 688, Adamnano dedicò al re l'opuscolo De Locis Sanctis (ritenuto da Beda «legentibus multis utillimum»), una relazione del viaggio a Gerusalemme del vescovo franco Arculfo. L'opera, da cui Beda derivò il Situ Hierosolymae urbis atque ipsius Iudaeae, per tutto il Medioevo restò la principale fonte per la conoscenza della Terra Santa. Tra il 692 e il 697, Adamnano scrisse la Vita San Columbae in tre libri, fondandosi sulle leggende e sulle tradizioni irlandesi.
Ad Adamnano sono anche attribuite, senza molto fondamento, alcune prescrizioni ecclesiastiche: i Canones Adamnani (Mansi, XII, coli. 154 sg.). Un viaggio nell'oltretomba è l'argomento della Fis Adamnáin («la visione di Adamnano») in irlandese, ma Adamnano certamente non ne è l'autore. L'opera di Adamnano è edita nella Patrologia latina del Migne (PL, LXXXVIII, coil. 721-816) e la miglior fonte, per lo studio della sua vita, è la Historia Ecclesiastica di Beda, che, nel 688, all'età di tredici anni, vide Adamnano.
La festa di Adamnano cade il 23 settembre.

(Autore: Cuthbert Mc Grath - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Adamnano, pregate per noi.

*Beato Alfonso da Burgos - Mercedario (23 Settembre)

+ 1381
Mercedario di nota santità, il Beato Alfonso da Burgos, si distinse nel convento di Santa Caterina in Toledo (Spagna).
Inviato in terra d'Africa come redentore, liberò 159 schiavi dalle prigioni e tirannie mussulmane portando la parola di Cristo.
Ritornato in patria e con le mani cariche di meriti andò lietamente in paradiso nell'anno 1381.
L'Ordine lo festeggia il 23 settembre.
Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alfonso da Burgos, pregate per noi.

*Sant'Alfwold - Re di Northumbria, Martire (23 Settembre)

+ Scytlecester, Inghilterra, 23 settembre 788/789
Figlio di Oswulf, Alfwold succedette sul trono di Northumbria a Aethelred, figlio di Moll Aetchwald, cacciato in esilio nel 779, probabilmente per aver fatto assassinare alcuni nobili della sua corte.
Dopo aver assistito nel 787 al concilio di Northumbria, Alfwold il 23 settembre 788 o 789 fu ucciso a Scytlecester, vittima di una congiura ordita dal nobile Sicgan.
Il suo corpo, trasportato ad Hexham (Northumberland), fu sepolto con grandi onori nella chiesa di Sant'Andrea apostolo, e sul luogo della sua morte, indicato secondo la leggenda da una luce miracolosa, fu eretta una chiesa in onore di San Cutberto, vescovo e di Sant’Oswald, re e martire.
Il Ferrari, sulla scorta della prima edizione del Martirologio Anglicano, celebrò Alfwold come martire il 6 aprile, sotto il nome di Ethelwold.
Ma nella seconda edizione del citato Martirologio, la festa di Alfwold passò al 23 settembre, data della sua morte.
Questa trasposizione, apparentemente ingiustificata, denota una qualche incertezza circa il culto di Alfwold, di cui, tra l'altro, non esiste alcuna prova sicura : infatti la chiesa che sorse sul luogo dove Alfwold fu ucciso, non fu dedicata a lui, ma ad altri. I Bollandisti sono piuttosto propensi a non accettare il culto di Alfwold.

(Autore: Celestino Testore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alfwold, pregate per noi.

*Santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio - Martiri (23 Settembre)

Martirologio Romano: In Africa, Santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio, martiri, che, catturati a Siracusa, furono deportati dai Mori e sottoposti a supplizi.
Il Baronio inserì nel Martirologio Romano questi martiri, sulla fede di antichi manoscritti che, pur non essendo indicati, sono da identificarsi con la passio reperibile nei sinassari greci al 23 settembre.
Il 21 marzo 878, regnando in Oriente Basilio I (867-86), Abrachen Agareno, espugnata Siracusa, deportò in Africa i suoi abitanti e tra essi Andrea, Giovanni e i suoi figli Pietro e Antonio, ancora in tenera età.
Educati nella cultura agarena, gli adolescenti, superando in intelligenza molti coetanei, ottennero a corte vari uffici; ma, poiché non rinunziavano alla fede cristiana, Abrachen li fece martirizzare, ordinando che fossero flagellati.
Antonio ricevette più di trecento colpi e, persistendo nella fede, fu legato su un asino e portato in giro per la città e poi trucidato.
Pietro, svestito e battuto sulle spalle e sul ventre, fu gettato in carcere dove i carnefici prima gli spezzarono braccia e gambe e quindi lo percossero a morte. Venne poi la volta di Giovanni che fu sgozzato con una spada sui corpi dei figli.
I martiri, posti su un rogo, furono infine cremati.
Andrea, invece, rimasto per molti anni in carcere, in età avanzata, già sfinito dai patimenti, fu trafitto nel petto da una lancia e poi decapitato.
La festa dei Santi Martiri cade il 23 settembre.

(Autore: Giuseppe Morabito – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio, pregate per noi.

*Beata Bernardina Maria Jablonska - Fondatrice (23 Settembre)

Pizuny, Polonia, 5 agosto 1878 - Cracovia, Polonia, 23 settembre 1940
Suor Bernardina, al secolo Maria Jablonska, nacque il 5 agosto 1878 a Pizuny – parrocchia Lipsko, nella diocesi di Zamosc – Lubaczow.All’età di 18 anni entrò nella Congregazione fondata dal Santo Fratel Alberto Chmielowski con lo scopo di servire i più bisognosi ed abbandonati. Riassicurò la stabilità legale alla Congregazione delle Suore Alberatine Serve dei Poveri di cui è Confondatrice. La sua vita fu ricca di amore verso Dio ed il prossimo.
Ebbe una particolare bontà di cuore verso tutti i più poveri. Morì il 23 settembre 1940 a Cracovia, lasciando alle suore la raccomandazione «fate del bene a tutti». Il 6 giugno 1997, il Santo Padre Giovanni Paolo II la proclamò Beata a Zakopane durante il suo Viaggio Apostolico in Polonia.

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, Beata Bernardina Jablonska, vergine, che, fondatrice della Congregazione delle Suore Serve dei Poveri, fu sempre disponibile per i poveri e i malati.
Suor Bernardina Maria Jabloñska nacque il 5 agosto 1878 nel piccolo villaggio di Pizuny, presso Narol, nell’odierna diocesi di ZamoœæLubaczów. La bellezza del paesaggio natio ebbe una grande influenza sul suo animo sensibile e contribuì a formare una personalità gentile e predisposta all’attività della grazia di Dio.
Vivace, intelligente, piena di gioia, cresceva circondata dall’amore dei genitori, rimanendo per molto tempo figlia unica.
I suoi genitori erano piccoli possidenti terrieri rispettati e stimati dai loro vicini. Poiché la scuola si trovava lontano dalla loro casa, i genitori l’affidarono ad un insegnante privato, il quale - però - essendo poco esperto non riuscì a «domare» la piccola Marynia e dopo alcuni mesi dovette lasciare l’insegnamento; la piccola fu perciò mandata a casa di lontani parenti dove un altro insegnante dava lezioni private ai bambini.
A 15 anni la sua felice infanzia fu bruscamente interrotta dalla morte della madre. La ragazza cambiò completamente, si sentì sola e perduta, evitava la compagnia dei coetanei, si appartava in cerca di solitudine.
La madre, profondamente religiosa, ebbe molta influenza sulla figlia, trasmettendole in modo particolare la venerazione del Santissimo Sacramento e l’attaccamento filiale alla Madre di Dio.
Morta la madre terrena, la giovane con tutto l’ardore del suo giovane cuore si attaccò alla Madre celeste. Una piccola cappellina sul bordo della foresta con la figurina dell’Immacolata, dove la ragazza aveva sempre portato mazzi di fiori di campo, divenne il luogo prediletto delle sue meditazioni. Lì affidava a Maria i problemi della sua giovane esistenza.
Dedicava inoltre molto tempo all’adorazione del Santissimo Sacramento nella chiesa di Lipsk, dove era stata battezzata.
Leggeva molto, soprattutto le vite dei Santi. Sempre di più si avvicinava a Dio il cui richiamo lei sentiva nel profondo della sua anima e Lo ritrovava facilmente nella bellezza della natura, nella solitudine, nel suo cuore. Sorgeva in lei il desiderio di una vita dedicata completamente a Dio nel silenzio del convento, per cui cominciò a praticare varie mortificazioni apprese dai libri.
Il momento decisivo fu il suo incontro con Frate Alberto alla sagra di Horyniec il 13 giugno 1896. Decise di entrare nella sua Congregazione fondata da poco, pensando che si trattasse di un ordine monastico. Il padre si oppose alla decisione della figlia, perciò Bernardina, una volta maggiorenne, lasciò di nascosto la casa e si recò a Brusno, dove si trovava l’eremo delle Suore Albertine. Alla domanda del Frate Alberto sul motivo della sua decisione, rispose di voler appartenere a Gesù Cristo e amarlo tanto.
Bisognava dare dimostrazione di questo amore, perciò la giovane venne mandata per la prima prova nell’ospizio dei senzatetto a Cracovia. Si trovò in un ambiente a lei completamente sconosciuto; fino a quel momento il povero era per lei un vecchietto vagabondo al quale si offriva un piatto caldo e una buona parola in cambio dei suoi racconti su un mondo lontano. Non sapeva assolutamente nulla della miseria fisica e morale della grande città. Lei che desiderava il silenzio e la preghiera si era trovata all’improvviso in una casa piena di lamenti di malati, di urla di malati mentali, di insulti volgari della gente emarginata che con insistenza chiedeva aiuto. Rimase talmente sconvolta da voler subito abbandonare tutto.
Frate Alberto vegliava, spiegava e soprattutto insegnava con il suo esempio che queste persone abbisognavano non soltanto di essere servite, ma soprattutto di essere amate come Cristo sofferente e disprezzato. Questo era un amore molto difficile ma affascinante che prospettava i culmini della santità. Soltanto il Signore sa quanto ebbe a soffrire, quanti combattimenti interiori, quante rinunce dovette affrontare. Il momento critico arrivò il Sabato Santo 1899 quando credette di non poter resistere più nemmeno per un momento.
Allora Frate Alberto scrisse per lei l’atto dell’eroico affidamento a Dio, che Bernardina firmò dopo aver pregato a lungo.
«Dono a Gesù Cristo la mia anima, la mia mente e tutto ciò che possiedo. Offro la mia persona a tutti i dubbi, alle asprezze interiori, ai tormenti e alle sofferenze spirituali, a tutte le umiliazioni e disprezzi, a tutti i dolori del corpo e alle malattie. In cambio non voglio niente né ora né dopo la mia morte, perché faccio tutto questo per amore di Gesù Cristo».
Da quel momento cessarono i dubbi e seppe mantenere la parola data mentre il Signore magnanimemente la conduceva attraverso il misticismo verso le altezze della contemplazione.
Frate Alberto, apprezzando le sue grandi doti, nel 1902 la nominò a soli 24 anni prima superiora generale della Congregazione delle Suore Albertine.
Svolse questo ministero fino alla morte, acclamata ogni volta ai capitoli generali.
Fu una vera madre per le suore e per i poveri. Dopo una lunga vita, piena di sofferenze morì (in aura di santità) il 23 settembre 1940 e fu sepolta nel cimitero Rakowicki di Cracovia. Nel suo testamento lasciò scritto alle suore: «Fate bene a tutti». Il suo culto cominciò a diffondersi fin dall’inizio, chi la conosceva si rivolgeva nel bisogno a lei anche dopo la sua morte, con la profonda convinzione che essa potesse fare molto con la sua intercessione presso il Signore. Le grazie ricevute allargavano il cerchio dei suoi veneratori.
Il 23 maggio 1984 la Congregazione delle Suore Albertine presentò alla Curia arcidiocesana di Cracovia, nelle mani del card. Franciszek Macharski, la richiesta di iniziare il processo d’informazione sulla Suora Bernardina Jabloñska.
Contemporaneamente i suoi resti terreni furono trasferiti dal cimitero nella chiesa Ecce Homo di Cracovia in via Woronicza 10, dove si trovano anche le reliquie di Frate Alberto. Il 25 aprile 1986 la documentazione fu inviata a Roma e già il 3 maggio 1986 fu formalmente aperto il processo di canonizzazione presso la Congregazione per le Cause dei Santi a Roma. L’altra tappa del processo è stata la proclamazione del decreto sull’eroismo della vita e delle virtù della Serva di Dio Suor Bernardina, il 17 dicembre 1996. Attualmente il processo è stato completato, aspettiamo la solenne beatificazione.

La spiritualità e la santità di Suor Bernardina
Suor Bernardina aveva ereditato dai suoi genitori due doti di carattere molto importanti che sviluppate nell’arco della vita raggiunsero una dimensione rara.
Dalla madre aveva ereditato una bontà delicata e dal padre una volontà forte e decisa. Quando il Signore predestina qualcuno ad una missione straordinaria di solito lo fornisce di capacità innate, che lo predispongono meravigliosamente al compito. La vita dei santi si esprime in due direzioni: della vita interiore e dell’attività esterna, le proporzioni vengono mantenute.
Alla base della vita interiore di Suor Bernardina come anche della sua attività si trovano amore e sofferenza. Si può dire che soffriva molto, oltre ogni limite, e sapeva sopportare. Agli inizi della sua vita religiosa, quando stava per cedere, perché desiderava rimanere con Dio nella solitudine e nel silenzio, sottoscrisse l’atto eroico di una completa rinuncia alle sue aspirazioni per donarsi a Dio, accettando tutte le sofferenze dell’anima e del corpo disinteressatamente, non aspettandosi premi né in vita né dopo la morte.
Il Signore la provava ma essa manteneva l’impegno preso. In compenso di questo immenso sacrificio le dette la capacità di amare con amore misericordioso tutta la miseria umana a misura del Suo cuore divino. Le insegnò a ritrovare Cristo sofferente e umiliato in ogni uomo, soprattutto in quello depravato, umiliato e rifiutato da tutti. La sua bontà immensa meravigliava tutti quelli che l’avvicinavano. Nei propri ricordi, ogni suora sottolinea questa dote di suor Bernardina.
Pregava intensamente, soprattutto di notte, poiché durante la giornata era impegnata nelle attività della Congregazione e con i poveri. Passava molte ore davanti al SS. Sacramento: l’Eucaristia era l’oggetto del suo amore costante da cui traeva la sua forza.
Stimolava le suore a fare frequenti visite alla cappella dicendo che «il prigioniero divino non può rimanere solo». Nei suoi diari scriveva così: «Gesù — Ostia Santissima: Quanta felicità per me! Oh! Se potessi rimanere ai suoi piedi interi secoli. Vorrei rimanere con il Signore qui, in questa valle di lacrime, fino al giorno del giudizio — rimanere ai piedi dell’altare, amarlo, non lasciarlo solo, compensarlo e vivere la sua vita. Mi dispiace che Lui rimarrà qui solo quando io non ci sarò più».
Il Signore le aveva donato un animo molto sensibile alle bellezze della natura, nella quale con facilità essa ritrovava le sue tracce, perciò le piaceva tanto stare nell’eremo di Zakopane. Lì riversava sulla carta le sue meditazioni rivelando i segreti della sua anima. Scriveva tra l’altro: «Mi ha impressionato moltissimo la bellezza di Dio che attirava la mia anima verso mondi sconosciuti... Dio e Dio, soltanto Dio, per sempre! Amo la preghiera; le notti silenziose all’aperto sotto il cielo sono la mia felicità. Amo la natura che innalza la mia mente e il mio cuore a Dio. Ti adoro, Signore, nelle folate del vento, nelle brumose nebbie mattutine e nel calante crepuscolo. Ti adorerò fino alla fine dei nostri giorni, che sono anche tua. Oh, come è bello il Signore nostro in una giornata di sole, come è bello nell’azzurro del cielo, come è meraviglioso nel turbinare del vento, come è potente nel mormorio del ruscello, come è grande Dio nelle sue opere».
Il Signore non si fa superare nell’elargire l’abbondanza dei suoi doni, accetta il sacrificio eroico di suor Bernardina ed esaudisce i desideri più ardenti del suo cuore; attraverso le esperienze dolorose della notte mistica la innalza fino agli altipiani della contemplazione e alla stretta unione con Lui. Le poche sue annotazioni rimaste ci rivelano cosa lei provava: - Deserto sacro, deserto profondo, immenso - bellezze e meraviglie si trovano in esso. Ho la sensazione che Dio mi abbia qui lasciata per bruciare in sacrificio, mi sto consumando.
«L’anima vola verso Dio come in un abisso senza fondo; tutto si azzittisce: la natura, il creato e le azioni. Dio versa sopra la mia anima fuoco e ghiaccio.
Vuol dire che così dev’essere, mi dono a te, Dio creatore... al di sopra di me Dio, come le nuvole sulla terra, e tutto cade sull’anima passiva».
Per quanto riguarda l’attività di Suor Bernardina bisogna dire che i poveri erano il suo secondo amore, vedeva in loro Gesù Cristo stesso e serviva Lui in loro. A loro dedicò la propria vita. La preoccupazione continua che mancasse il pane per i poveri faceva sprigionare le sue energie che le suggerivano le idee per procurare loro i mezzi di sussistenza.
Non dubitava mai della provvidenza divina; ordinava di dare anche l’ultima farina rimasta a quelli che la chiedevano, fiduciosa sempre nell’aiuto di Dio.
Sperimentava i miracoli della provvidenza.
Diceva alle suore: «Quale onore per noi che il Signore Gesù ci dona i poveri e ci lascia lavorare per quelli che ama tanto. Non è forse una fortuna servire Gesù Cristo stesso nelle persone dei poveri?».
Alla cura dei poveri dedicava tutta la sua anima.
Era particolarmente sensibile alle sofferenze altrui e quando non riusciva in un altro modo ad alleviare le loro sofferenze chiedeva al Signore di poter soffrire al loro posto. E così avvenne, infatti morì con il corpo tutto coperto di ulcere purulente, così profonde che si intravedevano le ossa. Una volta le sfuggì la confessione che aveva pregato per ottenere quelle stesse piaghe che le avevano provocato tanta ripugnanza.
Nel diario degli esercizi spirituali scrisse: «Vorrei esaudire ogni richiesta, asciugare ogni lacrima, consolare con la parola ogni anima sofferente, essere sempre buona per tutti e la migliore per i più infelici. Il dolore del prossimo è mio dolore. Gesù, fa' che non viva per me stessa, spargi la mia anima su tutti i campi della miseria umana. Riempila con la Tua bontà e misericordia e dammi la grazia di poterti sostituire qui in questa valle di lacrime, facendo bene a tutti».

La Confondatrice e il carisma della Congregazione
A 24 anni Suor Bernardina fu nominata da Frate Alberto la prima superiora generale della
Congregazione delle Suore Albertine e rimase superiora fino alla sua morte. Per 14 anni guidò la Congregazione a fianco del Frate Alberto seguendo il suo esempio ed imparando a servire Cristo nei più poveri. Dopo la morte del Frate, essa prese sulle sue spalle tutto il peso della cura della Congregazione e delle masse dei bisognosi che affollavano i ricoveri albertini.
Erano tempi difficili, la società era impoverita a causa delle guerre, c’erano molte persone senza tetto, tanti invalidi ed orfani. Ci volevano capacità non comuni per poter adempiere a questo compito difficile. Inoltre Frate Alberto era morto lasciando la Congregazione senza stabilità legale, senza Costituzioni scritte e senza l’approvazione scritta da parte delle autorità ecclesiali. Anche se aveva abbozzato il progetto delle Costituzioni secondo la prima Regola francescana, si era fermato, deluso dalle nuove norme della Congregazione per i Religiosi che non ammettevano la possibilità di approvare l’esistenza di Congregazioni senza basi materiali e con voti semplici. Quindi il problema fondamentale riguardava la radicale povertà alla quale Frate Alberto non voleva assolutamente rinunciare, considerandola il tesoro più prezioso.
Dopo la sua morte avvenuta nel 1916, questo compito difficile passò a Suor Bernardina, che si mise a lavorare con impegno e con senso di responsabilità, obbligata dalle autorità ecclesiastiche.
Doveva riassumere nei paragrafi delle Costituzioni tutta la spiritualità di Frate Alberto senza travisare in nessun modo i suoi ideali. L’aiutò in questo compito P. Czeslaw Lewandowski, amico fedele della Congregazione. Lavorava durante la notte, pregava molto e scriveva in ginocchio, di giorno si occupava delle suore e dei poveri. Il Signore approvava quest’opera perché le Costituzioni da lei redatte rispecchiano fedelmente l’ideale di Frate Alberto, dimostrano chiaramente il carisma del servizio ai più poveri.
Le autorità ecclesiali dopo un lungo tergiversare le approvarono senza cambiare il paragrafo riguardante la povertà.
Ciò accadde nel 1926, 10 anni dopo la morte di Frate Alberto e dopo un lungo periodo di preghiere e di varie intense attività di suor Bernardina che fedelmente proteggeva questa eredità preziosa. Che la decisione della Chiesa fosse giusta lo si è constatato molto presto: la povertà estrema moltiplicava le vocazioni per la Congregazione che cresceva numericamente. Giunti gli anni dell’espropriazione, le suore non temettero niente, perché i sistemi politici cambiano ma i poveri restano sempre e sempre sarà attuale il carisma albertino dei servizi ai più poveri.
La Congregazione deve a suor Bernardina la stabilità giuridica, le Costituzioni e il suo sviluppo dinamico e perciò viene considerata come con fondatrice della Congregazione delle suore Albertine.

La Congregazione oggi
La Congregazione delle Suore Alberatine è stata fondata nel 1891 a Cracovia da Frate Alberto. La caratteristica principale della sua attività erano i ricoveri per i senzatetto, sorti al fine di salvare le persone estremamente bisognose, sia dal punto di vista morale che materiale.
Erano aperti giorno e notte. Secondo le indicazioni di Frate Alberto, a chi arrivava si dava da mangiare, lo si vestiva, lo si ricoverava secondo la disponibilità del momento. I primi ricoveri sorsero a Cracovia, gli altri su tutto il territorio del paese. Gradualmente l'attività della Congregazione cresceva: nascevano case per invalidi, per malati incurabili, per bambini e giovani abbandonati e durante le epidemie si attivava la cura dei malati contagiosi.
La sede dell’amministrazione era in via Krakowska 47, a Cracovia, dove si trovava anche il noviziato e il ricovero per le donne. Molta importanza avevano gli eremi dove le suore, stanche di un continuo pesante lavoro, potevano ritemprare le loro forze fisiche e rinnovarsi anche spiritualmente. Il primo eremo sorse già nel 1891 a Bruœno trasferito poi a Prusie (nella regione di Przemýœl), e il secondo nel 1902 a Zakopane.
Nei tempi del totalitarismo, la Congregazione fu costretta a limitare la sua attività presso gli ospizi statali e nei centri per malati non curabili e mentali, per adulti e bambini. Inoltre le suore, per ordine della Chiesa, lavoravano anche come catechiste.
Attualmente la Congregazione ritorna gradualmente al servizio dei più poveri e dei più bisognosi. Si ramifica in tre province: Cracovia, Varsavia e Poznañ.
A Cracovia, oltre alla sede della casa generalizia, in via Woronicza 10, si trova anche il noviziato. Le suore sono circa 700 e vivono in 73 case, in Polonia e all’estero.
L’attività della Congregazione riguarda case di accoglienza per le donne, case per i sacerdoti pensionati, case per l’aiuto sociale, centri per bambini, persone disabili e malati terminali, una casa per ragazze madri intitolata a Emilia Wojtyla, mense per i bisognosi, centri parrocchiali con servizio infermieristico, catechesi, aiuto alle famiglie numerose in condizioni precarie. Fuori del paese la Congregazione si trova nelle seguenti sedi:
Roma: dal 1972 sette suore gestiscono una casa internazionale per pensionate (circa 20 persone);
U.S.A., Hammond nello stato Indiana: dal 1974 dieci suore gestiscono una casa per pensionati (circa 50 persone);
Argentina, Martin Coronado: dal 1982 cinque suore gestiscono una casa per ex combattenti polacchi (circa 42 persone); Bolivia, Montero: dal 1991 sei suore svolgono attività strettamente missionaria: curano i malati di tutto il quartiere; lavorano nell’ambulatorio 24 ore su 24; si impegnano per la catechesi che coinvolge circa mille bambini; preparano bambini e adulti ai sacramenti; organizzano funzioni religiose nel centro pastorale; accompagnano periodicamente i missionari nei loro viaggi ai villaggi lontani, aiutandoli nella catechesi e nel servizio sanitario; danno aiuto materiale e spirituale ai più poveri e ai malati; Bolivia, Cochabamba: dal 1997 tre suore lavorano in una clinica per poveri e missionari; Ucraina, Plebanówka presso Szarogród: dall'agosto 1992 tre suore aiutano i poveri e svolgono la catechesi per bambini e adulti.
Slovacchia, Brezno: dall’agosto 1995 tre suore nella parrocchia aiutano i poveri e svolgono la catechesi.
Il miracolo
Suor Lidia Gurgul delle Albertine ebbe una guarigione miracolosa da tubercolosi contagiosa, grazie all’intercessione della Serva di Dio Suor Bernardina. Dopo il ricovero in ospedale e la resezione di alcune vertebre per aumentare la pressione sul polmone sinistro interessato, lo stato della malata peggiorò ancora, si temeva una emorragia. Come malata grave e contagiosa fu sistemata nella casa della Congregazione a Zakopane.
Persistevano la febbre alta e una tosse insistente con sangue e pus. Le superiore informarono Suor Lidia, ancora in periodo di noviziato, che a causa della malattia non avrebbe potuto pronunciare i primi voti. Le consorelle invitarono Lidia, che era disperata, a cominciare una novena per chiedere una guarigione mediante l'intercessione di Suor Bernardina. La malata quindi incominciò le preghiere e contemporaneamente ingoiò un pezzettino di legno proveniente dalla bara di Suor Bernardina, e ne attaccò un altro sul lato sinistro della camicia che toccava la parte del corpo operata. Lo stesso giorno verso le ore 17 suor Lidia si sentì meglio, scomparvero la tosse e la febbre alta. Il giorno seguente la dottoressa curante constatava il miglioramento della suora e ordinò alcuni esami che confermarono la totale guarigione. Suor Lidia poté partecipare agli esercizi spirituali di 8 giorni a Cracovia e poté pronunciare i primi voti.
La guarigione ebbe luogo nell'agosto del 1950 e ancora oggi la suora sta bene e lavora in varie case della Congregazione, la tubercolosi non è ritornata mai più. Questo miracolo è stato riconosciuto durante il processo di beatificazione della Serva di Dio Suor Bernardina.

Preghiera per la canonizzazione della Beata Suor Bernardina
Onnipotente ed Eterno Dio,
fonte di santità e di bontà,
Ti supplichiamo per la canonizzazione della Beata Suor Bernardina,
perché sul suo esempio e per sua intercessione,
crescendo sempre più nel Tuo amore,
non cessiamo mai di fare del bene ai nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.

Novena per l’intercessione della Beata Suor Bernardina
Signore Gesù Cristo
che hai voluto formare il cuore della Beata Suor Bernardina
sull’esempio del Tuo Sacratissimo Cuore
pieno d’amore e di bontà e l’hai reso sensibile verso i bisognosi,
affamati e sofferenti, per sua intercessione ottienimi,
Signore, la grazia … che con umiltà e fiducia Ti domando.
Beata Suor Bernardina, prega per noi.
Padre nostro…
Ave Maria…
Gloria…

(Autore: Assunta Faron – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Bernardina Maria Jablonska, pregate per noi.

*San Costanzo di Ancona (23 Settembre)

Etimologia: Costanzo = che ha fermezza, tenace, dal latino
Martirologio Romano: Ad Ancona, commemorazione di San Costanzo, che, mansionario della chiesa, rifulse più per l’umiltà che per il dono dei miracoli.
Di lui fornisce alcune notizie San Gregorio Magno nei suoi Dialoghi, mettendone in evidenza la profonda umiltà e la virtù taumaturgica.
Secondo la narrazione dell'insigne pontefice, basata sulla testimonianza cuiusdam coepiscopi mei (probabilmente il vescovo stesso della città) e di altre persone del luogo, Costanzo, in abito monacale, esercitava l'ufficio di mansionario, o di sacrista, nella chiesa di Santo Stefano, prima cattedrale di Ancona e famoso santuario, in cui, al dire di Sant’ Agostino, si venerava una reliquia del protomartire.
San Gregorio fa soprattutto rilevare come all'aspetto dimesso e quasi spregevole del semplice e piccolo sacrista corrispondesse un grande spirito di perfezione, che rifulgeva attraverso il dono dei miracoli.
Tra i fatti prodigiosi si ricorda che, per la virtù taumaturgica dell'umile sacrista, le lampade della chiesa ardevano pur essendo piene di acqua anziché di olio. Poiché si era diffusa la fama della
santità e delle opere straordinarie del piccolo monaco molti accorrevano a lui per vederlo e per chiedergli favori spirituali.
Un giorno capitò nel tempio un rude contadino che, vedendo l'esile sacrista su di una scala intento ad allestire le lampade, si rifiutò di credere alla sua santità e prese a deriderlo con parole offensive, trattandolo da bugiardo e presuntuoso.
Costanzo, che aveva udito le ingiurie, corse ad abbracciarlo e a baciarlo, ringraziandolo di tale trattamento e dando così prova, come conclude San Gregorio, che se era grande nei miracoli, era più grande per l'umiltà del cuore. Altro non si conosce di questo santo confessore.
Il suo corpo venne più tardi trasferito a Venezia e deposto prima nella chiesa di San Basilio, poi in quella dei SS. Gervasio e Protasio, ove si venera attualmente e se ne celebra la festività il 23 settembre, come nella diocesi di Ancona.
Non sono note le ragioni e l'epoca precisa di tale traslazione: qualche cronista locale ritiene che il corpo sia stato trafugato nel sec. XII in occasione di un assedio e a seguito di rapina compiuta da alcuni mercanti veneziani.
Certo è che la figura di Costanzo non ha alcun rilievo nell'antica iconografia sacra locale (essa non appare nei plutei attribuiti ai secc. XI-XII) e, poiché il nome del Santo è taciuto in alcune formule liturgiche della antica Chiesa anconetana, si può pensare che il trasferimento delle reliquie sia avvenuto anteriormente al Mille e forse nel sec. IX, dopo la distruzione operata dai saraceni alla quale seguì per Ancona un periodo di abbandono.
Oggi la chiesa cattedrale, come unico ricordo di Costanzo, possiede un frammento osseo che è stato donato, con autentica del patriarca di Venezia, nel 1760.

(Autore: Mario Natalucci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Costanzo di Ancona, pregate per noi.

*Santi Cristoforo, Antonio e Giovanni - Adolescenti, protomartiri d'America (23 Settembre)
† Tlaxcala, Messico, 1527-1529
Cristoforo, Antonio e Giovanni furono tre ragazzi indigeni messicani, vissuti nel quattordicesimo secolo. I primi due erano di ascendenze nobili, parenti di due cacicchi (capi locali), mentre Giovanni era il servo di Antonio. Si erano avvicinati al cattolicesimo rompendo letteralmente con le tradizioni degli avi: aiutarono infatti i missionari a distruggere gli idoli venerati dalla popolazione, ma furono picchiati a morte. Cristoforo morì nel 1527, mentre Antonio e Giovanni vennero uccisi due anni dopo. Tutti e tre sono considerati i protomartiri del continente americano. Sono stati beatificati da san Giovanni Paolo II il 6 maggio 1990 e canonizzati da papa Francesco il 15 ottobre 2017.
Martirologio Romano: A Tlaxcala in Messico, Beati Cristoforo, Antonio e Giovanni, martiri, che, durante la prima evangelizzazione dell’America, aderirono lieti alla fede cristiana e furono per questo percossi a morte dai loro concittadini.
Erano solo tre ragazzi di 12-13 anni, ma gli storici della Chiesa, ormai, li considerano i protomartiri non solo del Messico, ma dell’intero continente americano.
La loro testimonianza e il loro martirio si collocano tra il 1527 e il 1529, quindi pochi decenni dopo la scoperta del Nuovo Mondo e l’inizio dell’evangelizzazione di quelle terre, e bisogna inquadrarli nel loro contesto storico e nello stile adottato da quei primi missionari. Che, avanzando di pari passo con i conquistatori spagnoli, raccoglievano conversioni sia per convinzione che per forza.
E la loro opera evangelizzatrice si basava anche sulla distruzione dei templi pagani e delle statuette dei vari idoli, il che oggi non sarebbe certo un bell’esempio di tolleranza, di dialogo interreligioso e di rispetto reciproco.
È sicuramente di “famiglia bene” il primo di questi martiri, nato nel 1514 (o nel 1515), perché figlio ed erede del principale “cacico” di Atlihuetzia. Insieme ai fratelli frequenta la scuola dei missionari francescani, si fa istruire nella fede e chiede il battesimo, ricevendo il nuovo nome di Cristoforo.
Con la forza del sacramento, l’entusiasmo dei neofiti e la vitalità degli adolescenti vuole convertire gli altri, a cominciare da papà, che oltretutto ha anche il vizio di ubriacarsi spesso. E poiché papà continua ad essere sordo ai richiami di Cristoforo, questi comincia a distruggere le statuette degli idoli conservati in casa.
Perdonato alcune volte per questo atteggiamento “contestatore”, è alla fine lo stesso padre a condannarlo a morte. Lo aggredisce a pugni e bastonate fino a rompergli braccia e gambe e alla fine lo brucia vivo, per far tacere una volta per tutte quel figlio ostinato, che anche sotto le botte continua a pregare. Alcuni giorni dopo la stessa fine tocca alla moglie, perché con il suo cuore di mamma aveva tentato di difendere Cristoforo dalla violenza del padre.
Nascono invece nel 1516-1517 Antonio e Giovanni:il primo è nipote ed erede del “cacico” di Tizatiàn, mentre il secondo è il suo servitore. La diversa estrazione sociale non impedisce loro di sentirsi fratelli nella fede quando, frequentando insieme la scuola dei missionari francescani, insieme si convertono e ricevono il battesimo e insieme scelgono di seguire alcuni padri domenicani verso una nuova missione ad Oaxaca, per fare loro da interpreti e aiutarli nella predicazione.
Sempre insieme, i due vanno di casa in casa a raccogliere le statuette degli idoli da distruggere: Di norma è Antonio a entrare nelle case, mentre Giovanni fa il “palo”, all’ingresso. Nel 1529, durante uno di questi “blitz” subiscono la vendetta degli Indios, che con una bastonata uccidono Giovanni sul colpo e poi Antonio, accorso in difesa dell’amico.
Martiri d’altri tempi, ma testimoni sempre attuali, se Giovanni Paolo II nel 1990 ha voluto proclamare beati Cristoforo, Antonio e Giovanni, per ricordarci che la nostra fede, pur con altri metodi, ha bisogno di maggior coraggio per esprimersi. Di questi tre ragazzi martiri la Chiesa fa memoria il 23 settembre. Il 15 ottobre 2017 sono stati canonizzati da papa Francesco.

(Autore: Gianpiero Pettiti)
Il contesto storico
L’evangelizzazione del Messico rimonta al 1524, quando i primi missionari Francescani arrivarono a Tenochtitlán, dividendosi poi su quattro regioni: Mexico, Texcoco, Huetzingo e Tlaxcala. A essi si aggiunsero poi alcuni Domenicani. I missionari basavano l'evangelizzazione sul concetto che la salvezza fosse un bene assoluto da conseguire, soprattutto eliminando le statuette delle divinità.
Al tempo della conquista spagnola, avvenuta nel 1519 con lo sbarco di Cortés e dei suoi uomini, la popolazione del Messico, in particolare gli Aztechi, era dedita al culto delle divinità, che si esplicava con un gran numero di sacrifici umani; la vita religiosa era dominata dalla casta dei sacerdoti.
Questo aspetto della religione locale favorì il diffondersi della nuova religione cristiana, o per convinzione o, perché imposta dai conquistatori spagnoli, per forza. I sacerdoti e i loro fedeli, pagani dal punto di vista cattolico, naturalmente avversavano i missionari.
I Francescani e i Domenicani lavorarono per la promozione umana degli Indios, come li chiamavano loro, e per difenderli da quei sanguinari riti usarono mezzi drastici, come la distruzione dei templi e degli idoli.
Tutto questo portò ad una reazione di buona parte degli Indios, che si sfogò anche sui tre adolescenti, Cristoforo, Antonio e Giovanni, educati alla scuola francescana di Tlaxcala.

Cristoforo
Le notizie biografiche raccolte dal frate francescano Toribio da Benevento non riportano il suo nome di nascita: certamente, doveva essere lungo e suonava difficile da pronunciare agli spagnoli.
Nacque ad Atlihuetzia (Tlaxcala) tra il 1514 e il 1515 ed era il figlio prediletto, nonché l’erede, del principale cacicco Acxotecatl. Ben presto seguì l'esempio degli altri tre fratelli, che nel 1524 avevano preso a frequentare la scuola aperta dai missionari francescani.
Si fece istruire nella fede cristiana e chiese spontaneamente il Battesimo, col quale ricevette il nome di Cristoforo (in spagnolo Cristóbal; era chiamato anche col diminutivo Cristobalito). Diventò in breve tempo un apostolo del Vangelo tra i suoi familiari e conoscenti:
si propose di convertire il padre e prese ad esortarlo a cambiare le sue riprovevoli abitudini, soprattutto l'ubriachezza.
Il padre non gli diede importanza e allora Cristoforo prese a rompere gli idoli presenti in casa; fu ammonito e perdonato dal padre più volte. L’uomo, visto il ripetersi del fatto, prese la decisione di ucciderlo.
Con un tranello, fece tornare a casa i figli dalla scuola francescana. Mentre i fratelli entravano in casa, Cristoforo fu afferrato per i capelli dal padre: lo gettò a terra, poi lo prese a calci e a bastonate, fino a rompergli le braccia e le gambe. Visto che Cristoforo, pur nel dolore, continuava a
pregare, lo gettò su un rogo acceso.  Pochi giorni dopo fu uccisa anche la madre, che aveva invano tentato di difendere il ragazzo.
Il padre seppellì di nascosto il figlio in una stanza della casa; un testo dice che fu poi condannato a morte per i suoi delitti, probabilmente dagli spagnoli. Il fatto avvenne nel 1527 e Cristoforo aveva 13 anni.
Uno dei francescani, Andrea da Cordoba, un anno dopo scoprì il luogo della sepoltura e fece trasportare il corpo incorrotto del giovane martire nel convento di Tlaxcala. Molto tempo dopo, un altro frate, Toribio da Benevento, lo stesso che compose anche il racconto del suo martirio, lo seppellì nella chiesa di Santa Maria a Tlaxcala.

Antonio e Giovanni
Antonio e Giovanni (Juan) nacquero tra il 1516 e il 1517 a Tizatlán (Tlaxcala). Antonio era nipote ed erede del cacicco locale, mentre Giovanni, di umile condizione, era il suo servitore. Ambedue frequentavano la scuola dei Francescani.
Nel 1529 i missionari Domenicani decisero di fondare una missione ad Oaxaca. Per questo motivo, mentre passavano per Tlaxcala, il domenicano Bernardino Minaya, chiese a fra Martino di Valencia, francescano e direttore della scuola, di indicargli alcuni ragazzi che volontariamente potessero accompagnarli come interpreti presso gli Indios.
Riuniti i ragazzi della scuola, fra Martino formulò la richiesta del domenicano, avvisando comunque che si trattava di un compito con pericolo di morte. Subito si fecero avanti i tredicenni Antonio e Giovanni e un altro nobile ragazzo di nome Diego (che non morì martire).
Il gruppo arrivò a Tepeaca presso Puebla: i ragazzi aiutarono i missionari a raccogliere gli idoli, poi solo Antonio e Giovanni si spostarono a Cuauhtinchán, sempre nei pressi di Puebla, e continuarono la raccolta.
Mentre, come di consueto, Antonio entrava nella casa e Giovanni restava alla porta, alcuni Indios, inferociti e armati di bastoni, si avvicinarono: picchiarono Giovanni talmente forte che morì sul colpo.
Antonio, accorso in suo aiuto, si rivolse agli aggressori: «Perché battete il mio compagno che non ha nessuna colpa? Sono io che raccolgo gli idoli, perché sono diabolici e non divini». Gli indigeni lo percossero con i bastoni, finché morì.
I corpi di Antonio e Giovanni furono poi gettati in una scarpata vicino a Decalco. Il domenicano padre Bernardino li recuperò e li trasferì a Tepeaca, dove vennero sepolti in una cappella.

I primi martiri del Messico
Il sangue dei tre ragazzi messicani fu il primo seme della grandissima fioritura del cattolicesimo nel loro Paese. Gli storici della Chiesa messicana li considerano protomartiri non solo del Messico, ma dell'intero continente americano; costituiscono quindi le primizie dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo.
L’opera dei missionari si allargò: aprirono scuole, stamparono i primi testi catechistici in lingua locale, condivisero la vita e la povertà degli Indios, lavorando per la loro promozione umana. Li difesero anche dai soprusi degli “encomenderos”, ossia coloni spagnoli, perlopiù militari, autorizzati a riscuotere dagli indigeni tributi o in natura, o sotto forma di lavoro obbligatorio.

La beatificazione
La canonizzazioneIl 7 dicembre 1982, la Congregazione delle Cause dei Santi diede il nulla osta per l’inizio del processo cognizionale per la beatificazione di Cristoforo, Antonio e Giovanni. La convalida di questa prima fase porta la data dell’8 novembre 1985.
Il 21 giugno 1988 si sono quindi riuniti i Consultori storici della Congregazione delle Cause dei Santi, mentre la “Positio super martyrio” è stata consegnata nel 1989.
La riunione dei Consultori teologi, svolta il 24 novembre 1989, ha avuto esito positivo, confermato dai cardinali e vescovi membri della Congregazione, il 6 febbraio 1990.
Il 3 marzo 1990 il Papa San Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui i tre ragazzi venivano ufficialmente dichiarati martiri.
Lo stesso Pontefice li ha beatificati il 6 maggio 1990 nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico, fissando la loro memoria liturgica al 23 settembre.
Insieme ad essi fu elevato agli onori degli altari Juan Diego Cuauhtlatoatzin, il messaggero della Madonna di Guadalupe, loro contemporaneo (canonizzato nel 2002).

Il 23 marzo 2017, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Papa Francesco ha accolto i voti favorevoli della Congregazione circa la canonizzazione dei tre martiri, senza bisogno di un ulteriore miracolo per loro intercessione. La loro canonizzazione è quindi stata celebrata da lui domenica 15 ottobre 2017.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini

Giaculatoria - San Cristoforo, Antonio e Giovanni, pregate per noi.

*Beato Diego Morata Cano - Sacerdote e Martire (23 Settembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Vera, Spagna, 29 marzo 1881 – Almería, Spagna, 23 settembre 1936
Diego Morata Cano nacque a Vera, in provincia e diocesi di Almería, il 29 marzo 1881. Il 19 dicembre 1903 fu ordinato sacerdote.
Era canonico della Cattedrale dell’Incarnazione di Almería quando morì in odio alla fede cattolica il 23 settembre 1936, nel cimitero di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

Giaculatoria - Beato Diego Morata Cano, pregate per noi.

*Beata Elena Duglioli Dall'Olio - Vedova (23 Settembre)

Bologna, 1472 - Bologna, 23 settembre 1520
La Beata Elena esprime in modo mirabile il carisma della vedovanza cristiana, fervente di preghiere e di opere di carità. Nata a Bologna nel 1472 dall'illustre famiglia Duglioli, manifestò una precoce propensione per la vita nascosta, l'orazione, l'impegno assiduo al servizio del prossimo.
A quindici anni, pur desiderando entrare nel monastero delle Clarisse del Corpus Domini, fu data in sposa al notaio Benedetto Dall'Olio, con il quale visse santamente e in profonda sintonia spirituale. Dotata di un singolare discernimento dello spirito divenne consigliera degli umili e dei potenti. Attinsero alla sua saggezza e preghiera di intercessione personalità insigni come Giulio II e Leone X. Predisse il giorno del proprio esodo pasquale, avvenuto in Bologna il giorno di santa Tecla vergine, il 23 settembre 1520.
Il suo corpo incorrotto è custodito in San Giovanni in Monte, nella cappella di santa Cecilia fatta costruire dal vescovo di Pistoia per ispirazione della Beata stessa. Leone XIII nel 1828 confermò il suo culto.

Etimologia: Elena = la splendente, fiaccola, dal greco
Martirologio Romano: A Bologna, beata Elena Duglioli Dall’Olio, che, dopo un matrimonio vissuto in mirabile armonia con il marito, rimasta vedova, condusse una vita esemplare.
Questa vedova bolognese non ha avuto, purtroppo, fin dagli inizi, biografi molto obbiettivi: nel
tentativo di esaltarne la figura, essi hanno, infatti, inventato particolari quanto mai fantastici. Secondo questi scrittori la Duglioli sarebbe stata la figlia dell'imperatore dei Turchi, Maometto II, trasferitasi in Occidente all'età di cinque anni.
Quivi avrebbe poi condotta una vita innocente e santa, per cui Dio la gratificò di numerose visioni e del dono della profezia. Dopo la morte il suo corpo sarebbe rimasto incorrotto. In realtà, ella nacque a Bologna nel 1472 da Silverio Duglioli, notaio, e da Pentesilea Boccaferri, bolognese.
Fu educata molto cristianamente; da giovane manifestò il proposito di emettere il voto di verginità (per questo qualche biografo la chiama vergine), ma dalla madre fu spinta al ma trimonio. A diciassette anni sposò Benedetto Dall'Olio di quarant'anni col quale convisse per circa sei lustri in mirabile unione ed in piena concordia.
E' stato affermato che nella vita matrimoniale visse sempre in assoluta verginità, ma il fatto non ha documenti sicuri. Dopo la morte del marito trascorse il resto della vita vedovile in modo esemplare. Morì il 23 settembre 1520 e fu sepolta a Bologna nella chiesa di S. Giovanni in Monte.
La fama della sua santità spinse la popolazione a tributarle solenne culto ogni anno al 23 settemmbre, culto ricordato perfìno da Pietro Aretino che parla di ex voto di ogni sorta visti attorno al sepolcro di "Santa Beata Lena Dall'Olio a Bologna". P. Lambertini (Benedetto XIV) riferisce questa testimonianza dello Aretino, quando si occupa del culto immemorabile della Duglioli. Leone XII formalmente confermò detto culto nel 1828.

(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Elena Duglioli Dall'Olio, pregate per noi.

*Sant'Elisabetta - Madre di Giovanni Battista (23 Settembre)

Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Zaccaria ed Elisabetta, genitori di San Giovanni Battista, Precursore del Signore.
Elisabetta, accogliendo in casa sua Maria, sua parente, piena di Spirito Santo, salutò la Madre del Signore benedetta tra le donne; Zaccaria, sacerdote, pieno di spirito profetico, alla nascita del figlio, lodò Dio redentore e predisse il prossimo avvento di Cristo,
che verrà dall’alto come sole che sorge.
I nomi di Santa Elisabetta e San Zaccaria non compaiono nel Calendario della Chiesa, ma per lunga tradizione questo giorno è sacro alla memoria dei genitori del Battista, cioè di Santa Elisabetta e di San Zaccaria, suo sposo.
Troviamo la loro storia nelle prime, mirabili pagine dell'Evangelo di San Luca, nelle quali è tracciato il prologo del più incredibile avvenimento della storia dell'umanità: l'Incarnazione di Dio tra gli uomini.
"Al tempo di Erode, re della Giudea - si legge - c'era un sacerdote di nome Zaccaria, la cui moglie era delle figlie di Aronne e si chiamava Elisabetta.
Ambedue erano giusti davanti a Dio e camminavano in modo irreprensibile in tutti i comandamenti e precetti del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile, e tutti e due erano molto avanti con gli anni".
La mancanza di una discendenza era considerata quasi un'onta, e formava il segreto tormento
dell'anziana coppia di Israeliti. Ma un giorno, mentre Zaccaria offriva l'incenso nel Santuario, un Angiolo gli apparve alla destra dell'altare, per annunziargli che le preghiere sue e di Elisabetta erano state finalmente esaudite.
"Tua moglie ti darà un figlio - disse l'Angiolo - al quale metterai nome Giovanni. Egli sarà per te motivo di gioia e di contentezza, e molti gioiranno per la nascita di lui, perché sarà grande nel cospetto del Signore...".
Così il vecchio sacerdote e la sua sterile moglie vengono a partecipare al sublime evento dell'Incarnazione. Nascerà da loro Giovanni, "profeta dell'Altissimo", il primo e più grande testimone di Cristo nel mondo.
Per aver dubitato delle parole dell'Angiolo, Zaccaria resterà muto per tutto il tempo della trepidante maternità di Elisabetta. E fu in quel periodo, trascorsi sei mesi, che Elisabetta ricevette la visita di una lontana parente, Maria di Nazaret, sposa del falegname Giuseppe.
"Entrata in casa di Zaccaria - narra ancora San Luca - Maria salutò Elisabetta. Ed avvenne che, appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno, ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo e ad alta voce esclamò: "Benedetta tu sei tra le donne, e benedetto è il frutto del tuo
seno... Te beata, che hai creduto, perché si compiranno le cose dette a te dal Signore".
Sant'Elisabetta fu così la prima donna a salutare in Maria la Madre del Redentore non ancora nato. Si può dire che sia la prima credente nella storia del Cristianesimo. Maria le risponderà con il meraviglioso cantico di ringraziamento, non a lei, ma alla potenza di Dio, il Magnificat.
Dopo la nascita di Giovanni, la lingua di Zaccaria si scioglierà per poter pronunziare il nome di Giovanni, imposto dall'Angiolo al figlio, "profeta dell'Altissimo". E anche Zaccaria pieno di Spirito Santo, alzerà il suo inno di gioia e di benedizione:
"Benedetto sia il Signore, Dio d'Israele, - perché ha visitato e redento il suo popolo; - ha suscitato per noi un potente salvatore - nella casa di David suo servo - come aveva annunziato per bocca dei suoi santi e dei suoi profeti - fin dall'inizio dei tempi". Con la Natività, Elisabetta e Zaccaria spariscono dalle pagine del Vangelo, spariscono dalla storia, scivolano nella penombra che circonda la luce folgorante della Redenzione.
Non si sa altro, ma non c'è bisogno di sapere altro per vedere nei due vecchi sposi l'immagine dell'umanità nuova, ideali progenitori di tutti coloro che lodano la misericordia di Dio, benedicono la prescelta tra tutte le donne, e gioiscono nell'amore del suo divino Figliuolo.

(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Sant'Elisabetta, pregate per noi.

*Beata Emilie Tavernier Gamelin (23 Settembre)

Montreal, 19 febbraio 1800 - 23 settembre 1851
Nasce a Montreal nel Canada, il 18 febbraio del 1800. All'età di 23 anni sposa un coltivatore di mele dal quale avrà tre figli. Ma Emilie vedrà morire tutti i componenti della famiglia. Anche se afflitta per le dure prove subite, non si ripiega su se stessa e sulla sofferenza, ma cerca e trova nella
Vergine Addolorata e nella Croce il modello sul quale orientare tutta la vita. Decide di aprire il cuore e la dimora ai più bisognosi: la sua casa diventerà «La casa della Provvidenza».
Nasce allora la famiglia religiosa delle suore della Provvidenza, che vedranno il loro numero crescere e moltiplicarsi. Fino a quando la stessa fondatrice morirà, vittima della epidemia del colera del 1851, soltanto otto anni dopo l'inizio della comunità della Provvidenza. Oggi le suore sono attive in Canada, negli Stati Uniti, nel Cile, in Argentina, ad Haiti, nel Camerun, in Egitto, nelle Filippine e a El Salvador. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Montréal nel Québec in Canada, Beata Maria Emilia Tavernier, religiosa, che, perduti il marito e i figli, si dedicò all’assistenza dei bisognosi e fondò la Congregazione delle Suore della Provvidenza al servizio degli orfani, degli anziani e dei malati di mente.
Emilie Tavernier nacque a Montreal il 19 febbraio 1800 da genitori modesti ma virtuosi e lavoratori. Ella è l'ultima di una schiera di 15 figli nati dall'unione Tavernier - Maurice. I genitori partirono ben presto per il cielo lasciando però ai loro figli una educazione cristiana segnata dalla presenza della Provvidenza nella loro vita.
All'età di 4 anni, Émilie fu affidata alle cure di una zia paterna che riconobbe subito nella sua pupilla una sensibile e amorevole tendenza verso i poveri e i derelitti.
Così verso suo fratello rimasto vedovo, sente il dovere di andare ad aiutarlo - ella ha già 18 anni - e non chiede remunerazione, mette solo la condizione di poter avere sempre, una tavola preparata per i mendicanti che si presentassero, - tavola che essa con amore chiamò: «la Tavola del Re».
Nel 1823, Émilie sposa Jean-Baptiste Gamelin, di professione «coltivatore di mele». In lui ella aveva trovato un amico dei poveri, in pieno accordo con le sue aspirazioni. Émilie e suo marito ebbero tre figlioli ma la sua gioia fu offuscata dalla loro morte e da quella di suo marito con il quale viveva felice e fedele al loro impegno matrimoniale.
Anche se afflitta per le varie prove subite, essa non si ripiega su se stessa e la sua sofferenza, ma cerca e trova nella Vergine Addolorata, il modello sul quale orientare tutta la sua vita.
La sua preghiera e la contemplazione della Vergine Maria ai piedi della croce apre per lei la via alla pratica di una carità piena di compassione per tutti coloro che si trovano in preda alle sofferenze di ogni genere. Saranno queste persone ora a prendere il posto dei suoi figli e di suo marito.
Un povero handicappato mentale e la sua madre aprono la lista di coloro che saranno i suoi beneficiari non solo delle risorse lasciatele da suo marito ma anche del suo tempo, della sua dedizione, del suo benessere, del suo tempo libero e della sua stessa salute. La sua casa diventa la loro casa e cercherà di aumentare i locali per accogliere gli indigenti, le persone anziane, gli orfani, i prigionieri, gli immigrati, i senza lavoro, i sordomuti, i giovani o le coppie in difficoltà, gli handicappati fisici e intellettuali, tutti conoscono bene la sua dimora che spontaneamente chiamano: «Casa della Provvidenza», perché essa stessa Émilie è una «vera provvidenza».
A casa, come nelle prigioni, presso gli ammalati e anche dai sani, Émilie è accolta col sorriso perché porta conforto e assistenza. Essa è veramente il Vangelo in azione: «Ciò che voi farete al più piccolo del miei fratelli l'avrete fatto a me».
Parenti ed amici si stringono attorno a lei per assecondarla ed aiutarla; altri invece, vedendola aprire altre case, interpretano male la sua opera fino a dire: «La Signora Gamelin non ne aveva abbastanza di matti che se ne aggiungono altri!».
Durante un periodo di 15 anni, essa moltiplicherà i suoi atti di eroismo e di dedizione, sotto lo sguardo benevolo, riconoscente e compiaciuto del Vescovo Jean-Jacques Lartigue prima, e poi del secondo Vescovo di Montreal, Monsignore Ignace Bourget. Una esistenza così preziosa per le sue pecorelle non doveva sparire ma bensì assicurare la sua continuità.
In occasione di un viaggio a Parigi, Monsignore Bourget nel 1841 sollecita dei rinforzi tra le suore di San Vincenzo de' Paoli per l'opera della signora Émilie Gamelin e per mettere le basi di una nuova comunità religiosa.
Alla risposta affermativa, Montreal vede sorgere un nuovo edificio per accoglierle. Ma all'ultimo momento le religiose attese non vengono e la Provvidenza prepara altri piani.
L'opera della Signora Émilie Gamelin continuerà a dispetto di tutto!
Il Vescovo Monsignore Bourget si rivolgerà alla propria diocesi e le giovani ragazze canadesi verranno inviate alla Signora Gamelin. Ella le formerà all'opera della carità compassionevole che lei
vive con amore, devozione e sacrificio, e alla missione di Provvidenza, che essa proclama coi fatti, più eloquenti delle parole.
Nella Casa della Provvidenza, le suore della Provvidenza incominciano la loro opera nella Chiesa di Montreal, e Émilie Tavernier-Gamelin si unirà al gruppo delle prime religiose, prima come novizia, poi come Madre e Fondatrice. La prima professione religiosa ebbe luogo il 29 marzo 1844.
I bisogni dei poveri, degli ammalati, degli emigranti, ecc. non cessano di aumentare in una città e in una società in via di sviluppo.
La comunità nascente conoscerà delle ore oscure quando i morti in tempo di epidemie vedranno diminuire gli effettivi e quando il Vescovo Bourget metterà in dubbio, sotto l'influenza di una religiosa ombrosa e sospettosa, la buona volontà della superiora. Ma la Fondatrice resterà salda ai piedi della croce sull'esempio della Vergine Addolorata, suo modello sin dalle ore penose della sua vedovanza. Il Vescovo stesso riconoscerà la sua grandezza d'animo e la sua generosità spinte sino all'eroismo.
La nuova comunità si svilupperà per rispondere ai bisogni del momento. Le Suore della Provvidenza vedranno il loro numero crescere e moltiplicarsi sino a 50, e quando la Fondatrice stessa soccomberà, vittima della epidemia del colera del 1851, 8 anni soltanto dopo l'inizio della comunità della Provvidenza, le sue figlie raccoglieranno dalle sue labbra morenti, l'ultimo testamento della loro Madre: umiltà, semplicità, carità, soprattutto carità.
Dopo un tale modesto inizio, ben 6147 giovani ragazze si sono impegnate alla sequela di Émilie Tavernier-Gamelin. Oggi queste suore si trovano in Canadà, negli Stati Uniti, nel Cile, in Argentina, ad Haïti, nel Cameroun, in Egitto, nelle Filippine e a El Salvador. Il Santo Padre Giovanni Paolo II promulgò il decreto sulle virtù eroiche il 23 dicembre 1993. Dopo il riconoscimento ufficiale di un miracolo attribuito alla sua intercessione, avvenuto il 18 dicembre 2000, il Sommo Pontefice la proclama Beata il 7 ottobre 2001, proponendola al popolo di Dio come modello di santità per una vita spesa al servizio dei fratelli e sorelle più poveri della società, e fissa la sua festa liturgica al 23 settembre, giorno anniversario della sua morte, avvenuta il 23 settembre 1851.

(Fonte: Santa Sede)

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*Beato Francisco de Paula Victor - Sacerdote (23 Settembre)

Campanha, Brasile, 12 aprile 1827 - Três Pontas, Brasile, 23 settembre 1905
Francisco de Paula Victor fu un sacerdote della diocesi di Campanha, nello stato brasiliano del Minas Gerais. A lungo ostacolato nella vocazione al sacerdozio per il fatto di essere di colore, nonché figlio naturale di una schiava, non perse la speranza e venne aiutato dal suo vescovo e dalla sua padrona, che lo aveva tenuto a battesimo.
Nominato viceparroco di Três Pontas, della quale fu in seguito parroco, superò i pregiudizi dei suoi fedeli dimostrando un grande amore a Gesù: costruì un collegio aperto a studenti di ogni ceto e provenienza sociale, dove fu egli stesso docente. Morì a Três Pontas il settembre 1905, a 78 anni;
ne era stato parroco per 53.
La fase diocesana del suo processo di beatificazione, svoltasi nella diocesi di Campanha dal 1993 al 1995, fu integrata da un’inchiesta suppletiva nel 1998.
Padre Victor, come è più noto tra i suoi devoti, è stato dichiarato Venerabile il 10 maggio 2012. Il 5 giugno 2015 Papa Francesco ha riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione. I suoi resti mortali riposano nella chiesa di Nossa Senhora d’Ajuda (in italiano “Madonna dell’Aiuto”), fatta costruire da lui stesso.
Don Francisco de Paula Victor nacque il 12 aprile del 1827 nella Vila da Campanha da Princesa (Minas Gerais). Figlio naturale della schiava nera Lourença Justiniana de Jesus, ebbe come madrina di battesimo la sua stessa padrona donna Marianna de Santa Barbara Ferreira.
Avviato al mestiere di sarto, Victor sognava di diventare sacerdote, ma era un sogno proibito al punto che si sentì dire che il giorno in cui sarebbe diventato prete le galline avrebbero avuto i denti. Si era in pieno regime schiavista e agli schiavi, in particolare quelli neri, non solo era proibito accedere a qualsiasi incarico pubblico sia civile che ecclesiastico, ma persino di studiare.
L’aspirazione di Victor ebbe una felice congiuntura nell’aiuto della madrina-padrona e nella determinazione di mons. Antonio Viçoso, vescovo di Mariana, convinto abolizionista. Iniziato agli studi dal vecchio parroco di Campanha don Antonio Felipe de Araujo, Victor fu ammesso al Seminario di Mariana.
Qui sopportò con pazienza l’ostilità e le discriminazioni degli altri seminaristi al punto da diventare loro servitore. Uno di loro scrisse che, nonostante tutto, Victor sperava, sperava sempre. Con la sua umiltà e determinazione alla fine li conquistò tutti. Superati con indulto gli impedimenti canonici, il 14 giugno del 1851 fu ordinato sacerdote.
Gran parte dei bianchi, tuttavia, non accettava che un ex schiavo nero potesse essere un prete, e rifiutava persino di ricevere da lui la comunione. Così quando il 18 giugno dell’anno successivo fu
mandato a Tres Pontas con l’incarico di vice-parroco, ci fu grande sconcerto e riserve tra la popolazione.
L’umiltà e la pazienza con il sostegno vigoroso di un sconfinato amore a Gesù Cristo portarono don Victor non solo ad essere accettato ma addirittura ad essere “idolatrato” dai suoi parrocchiani. Fu parroco di Tres Pontas per oltre un cinquantennio, cioè fino alla morte avvenuta il 23 settembre del 1905.
Fu sepolto nella sua chiesa parrocchiale, nel 1999 si procedette alla ricognizione canonica e i resti mortali furono posti in un nuovo sarcofago.
Alla cura e guida delle anime aggiunse la costruzione del Collegio “Sacra Famiglia”, in cui fu anche professore, per avviare agli studi poveri e ricchi, bianchi e neri, convinto che la cultura insieme alla fede potessero fondare una società nuova.
Costruì la più grande chiesa del Minas Gerais: Nossa Senhora d’Ajuda. La carità lo contraddistinse in modo particolare, vivendo personalmente una povertà assoluta. Il diavolo lo temette come esorcista al punto da scongiurare di chiamare “quel brutto negro dalle labbra pronunciate”!
L’eredità spirituale e culturale lasciata da don Victor costituisce la peculiarità di Tres Pontas e dei territori limitrofi, e grande è la venerazione che i fedeli gli tributano in attesa che sia riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa come il “Santo delle cose impossibili”.

(Fonte: www.postulazionecausesanti.it)

Giaculatoria - Beato Francisco de Paula Victor, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Stanek (23 Settembre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
"Beati 108 Martiri Polacchi" - Senza data (Celebrazioni singole) + 1939 – 1945
Lapsze Nizne, Polonia, 4 dicembre 1916 – Czerniaków, Polonia, 23 settembre 1944
Il Beato Jozef Stanek, sacerdote polacco della Società dell'Apostolato Cattolico (Pallottini), nacque a Lapsze Nizne (Spisz) il 4 dicembre 1916 e morì a Czerniaków il 23 settembre 1944.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: A Varsavia sempre in Polonia, Beato Giuseppe Stanek, sacerdote della Società dell’Apostolato Cattolico e martire, che, durante la guerra, portò a termine il suo martirio, impiccato dai persecutori della fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Stanek, pregate per noi.

*Beato Guglielmo Way - Martire (23 Settembre)

Martirologio Romano:
I
n località Kingston sul Tamigi in Inghilterra, Beato Guglielmo Way, sacerdote e martire, che, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I per essere entrato in Inghilterra da sacerdote, morì impiccato sul patibolo.

Giaculatoria - Beato Guglielmo Way, pregate per noi.

*San Lino – 2° Papa e Martire (23 Settembre)

Volterra - Roma, secolo I
(Papa dal 67 c. al 76 c.).
Fu scelto da San Pietro quale suo successore come vescovo di Roma, dove esercitò il suo ministero per undici anni o dodici anni a seconda delle fonti.
Su di lui non sia hanno grandi informazioni. Sant'Ireneo, vescovo di Lione, c'è lasciato una testimonianza attendibile sui primi dodici vescovi fra cui figura Lino, identificato come la persona di
cui parla San Paolo nella seconda lettera a Timoteo.
Secondo il Liber Pontificalis sarebbe stato di origine toscana mentre secondo tradizioni più tarde, avrebbe studiato a Volterra e sarebbe stato inviato a Roma per i suoi studi. Li avrebbe incontrato Pietro da cui sarebbe stato convertito.
Gli sono attribuiti gli Atti apocrifi di San Pietro e Paolo e la Disputa con Simon Mago. Sarebbe morto martire sotto Domiziano.

Etimologia: Lino = accorc. di Angiolino, Michelino, ecc.;
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di San Lino, Papa, al quale, come scrive sant’Ireneo, i Beati Apostoli affidarono la cura episcopale della Chiesa fondata a Roma e che san Paolo Apostolo ricorda come suo compagno.
Dopo San Pietro c’è subito lui: Lino, secondo capo della Chiesa, primo Papa italiano. Toscano d’origine, nato a Volterra: così dicono vari studiosi e il grande Cesare Baronio, lo storico cinquecentesco della Chiesa.
A essi si unirà, il 24 settembre 1964 in San Pietro, Paolo VI, dicendo all’udienza generale: "Abbiamo
con noi un gruppo di Volterra... La diocesi sorella...
Sì, questo titolo le spetta, perché con san Lino ha dato alla Chiesa l’immediato successore di Pietro, il secondo Papa".
Sappiamo poco di Lino.
Ignoti gli anni di nascita e di morte, la gioventù e gli studi. Uno dei Padri della Chiesa, Ireneo di Lione (II secolo), dice che Pietro e Paolo affidarono a Lino responsabilità importanti, e che Paolo ha citato proprio lui nella seconda lettera a Timoteo: "Ti salutano Eubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli...".
Sappiamo però che Lino vive tempi terribili con i cristiani di Roma. Nell’estate del ’64 un incendio distrugge i tre quarti dell’Urbe, e se ne incolpa l’imperatore Nerone.
Forse è una calunnia dei suoi molti nemici: ma lui reagisce col diversivo della persecuzione generale contro i cristiani.
E a essi giunge l’incoraggiamento di san Pietro nella sua prima lettera: "Non vi sembri strana la prova del fuoco sorta contro di voi... anzi, rallegratevi per la parte che voi venite a prendere alle sofferenze di Cristo".
Anche San Pietro muore in questa persecuzione (forse nel ’67) e gli succede Lino in tempo di delitto e di tragedia.
Nerone muore nel ’68 (si fa trafiggere da un servo) e nello stesso anno c’è una strage di successori: Galba, sgozzato nel Foro; Ottone suicida; Vitellio linciato dai romani.
Solo con Vespasiano, nel ’69, arrivano ordine e pace in Roma. Ma è scoppiata in Palestina la rivolta contro il dominio romano: la “guerra giudaica”, che finisce nel
settembre ’70 con Gerusalemme occupata dalle truppe di Tito (figlio di Vespasiano) e col tempio profanato e distrutto: vicende laceranti per gli ebrei e anche per i cristiani e, per certuni, segnali di calamità universali imminenti, di una ben vicina fine del mondo.
Lino è chiamato in questi suoi anni di pontificato (nove, si ritiene) a rianimare i fedeli, a orientarli nella confusione dottrinaria provocata dall’opera di gruppi settari.
É lui quello che deve tenere unita la Chiesa sotto l’uragano: e comincia a delinearne la forma organizzata, la “struttura”: sappiamo per esempio che ha nominato vescovi e preti, e ha dato regole alla pratica comune della fede.
(Si attribuisce a lui l’obbligo per le donne di partecipare alla celebrazione eucaristica col capo coperto). Sarà anche venerato come Martire, a causa delle sofferenze durante la persecuzione neroniana; ma non è certo che sia stato ucciso, perché nel tempo della sua morte la Chiesa viveva in pace sotto il governo di Vespasiano.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lino, pregate per noi.

*Beato Pietro Acotanto - Monaco (23 Settembre)

† 1187 circa
Proveniente da una famiglia del patriziato veneziano, lasciò le sue ricchezze ai poveri per concludere la sua vita in miseria.
Fu sepolto nella chiesa di San Basilio.
Assai venerato fin da principio, la sua fama crebbe quando il suo corpo fu riesumato, scoprendolo avvolto in un cilicio (1250).
Nel 1305 la salma fu trasferita in un'altra tomba del limitrofo cimitero e, nel 1340, veniva definitivamente traslata all'interno della chiesa, sopra l'altare del Crocifisso.
Riconosciuto come taumaturgo, fu dichiarato beato con i decreti dell'8 agosto 1759 e del 13 novembre 1760.
Nel 1810 le reliquie passarono a San Sebastiano, ma, dal 1821, riposano a San Trovaso.
Il culto per il beato Pietro è ancora vivo a Venezia: a lui sono intitolate una Compagnia e una scuola per falegnami.
E' compatrono di Venezia.

Martirologio Romano: A Venezia, beato Pietro Acotanto, monaco, che rifiutò per umiltà l’incarico di abate e preferì vivere da recluso in un chiostro.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Pietro Acotanto, pregate per noi.

*San Pio da Pietrelcina (Francesco Forgione) - Sacerdote Cappuccino (23 Settembre)
Pietrelcina, Benevento, 25 maggio 1887 - San Giovanni Rotondo, Foggia, 23 settembre 1968
Francesco Forgione nasce a Pietrelcina, provincia di Benevento, il 25 maggio 1887. Il 22 gennaio 1903, a sedici anni, entra in convento e da francescano cappuccino prende il nome di fra Pio da Pietrelcina. Diventa sacerdote sette anni dopo, il 10 agosto 1910.
Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di Santa Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale.
Il 20 settembre 1918 il cappuccino riceve le stimmate della Passione di Cristo che resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per ben cinquant’anni. Muore il 23 settembre 1968, a 81 anni.
Dichiarato venerabile nel 1997 e beatificato nel 1999, è canonizzato nel 2002.
Etimologia: Pio = devoto, religioso, pietoso (signif. Intuitivo)
Martirologio Romano: San Pio da Pietrelcina (Francesco) Forgione, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che nel convento di San Giovanni Rotondo in Puglia si impegnò molto nella direzione spirituale dei fedeli e nella riconciliazione dei penitenti ed ebbe tanta provvidente cura verso i bisognosi e i poveri da concludere in questo giorno il suo pellegrinaggio terreno pienamente configurato a Cristo crocifisso.
Quando muore, il 23 settembre 1968, a 81 anni, le stimmate scompaiono dal suo corpo e, davanti alle circa centomila persone venute da ogni dove ai suoi funerali, ha inizio quel processo di santificazione che ben prima che la Chiesa lo elevasse alla gloria degli altari lo colloca nella devozione dei fedeli di tutto il mondo come uno dei santi più amati dell’ultimo secolo.
Francesco Forgione era nato a Pietrelcina, provincia di Benevento, il 25 maggio 1887. I suoi genitori, Grazio e Giuseppa, erano poveri contadini, ma assai devoti: in famiglia il rosario si pregava ogni sera in casa tutti insieme, in un clima di grande e filiale fiducia in Dio e nella Madonna. Il soprannaturale irrompe assai presto nella vita del futuro Santo: fin da bambino egli riceveva visite frequenti di Gesù e Maria, vedeva demoni e angeli, ma poiché pensava che tutti avessero queste facoltà non ne faceva parola con nessuno.
Il 22 gennaio 1903, a sedici anni, entra in convento e da francescano cappuccino prende il nome di fra Pio da Pietrelcina. Diventa sacerdote sette anni dopo, il 10 agosto 1910. Vuole partire missionario per terre lontane, ma Dio ha su di lui altri disegni, specialissimi.
I primi anni di sacerdozio sono compromessi e resi amari dalle sue pessime condizioni di salute, tanto che i superiori lo rimandano più volte a Pietrelcina, nella casa paterna, dove il clima gli è più congeniale. Padre Pio è malato assai gravemente ai polmoni.
I medici gli danno poco da vivere. Come se non bastasse, alla malattia si vanno ad aggiungere le terribili vessazioni a cui il demonio lo sottopone, che non lasciano mai in pace il povero frate, torturato nel corpo e nello spirito.
Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di S. Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale. Un numero incalcolabile di uomini e donne, dal Gargano e da altre parti dell’Italia, cominciano ad accorrere al suo confessionale, dove egli trascorre anche quattordici-sedici ore al giorno, per lavare i peccati e ricondurre le anime a Dio. È il suo ministero, che attinge la propria forza dalla preghiera e dall’altare, e che Padre Pio realizza non senza grandi sofferenze fisiche e morali.
Il 20 settembre 1918, infatti, il cappuccino riceve le stimmate della Passione di Cristo che
resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per ben cinquant’anni. Padre Pio viene visitato da un gran numero di medici, subendo incomprensioni e calunnie per le quali deve sottostare a infamanti ispezioni canoniche; il frate delle stimmate si dichiara “figlio dell’obbedienza” e sopporta tutto con serafica pazienza.
Infine, viene anche sospeso a divinis e solo dopo diversi anni, prosciolto dalle accuse calunniose, può essere reintegrato nel suo ministero sacerdotale.
La sua celletta, la numero 5, portava appeso alla porta un cartello con una celebre frase di San Bernardo: “Maria è tutta la ragione della mia speranza”. Maria è il segreto della grandezza di Padre Pio, il segreto della sua santità. A Lei, nel maggio 1956, dedica la “Casa Sollievo della Sofferenza”, una delle strutture sanitarie oggi più qualificate a livello nazionale e internazionale, con 70.000 ricoveri l’anno, attrezzature modernissime e collegamenti con i principali istituti di ricerca nel mondo.
Negli anni ‘40, per combattere con l’arma della preghiera la tremenda realtà della seconda guerra mondiale, Padre Pio diede avvio ai Gruppi di Preghiera, una delle realtà ecclesiali più diffuse attualmente nel mondo, con oltre duecentomila devoti sparsi in tutta la terra. Con la “Casa Sollievo della Sofferenza” essi costituiscono la sua eredità spirituale, il segno di una vita tutta dedicata alla preghiera e contrassegnata da una devozione ardente alla Vergine.
Da Lei il frate si sentiva protetto nella sua lotta quotidiana col demonio, il “cosaccio” come lo chiamava, e per ben due volte la Vergine lo guarisce miracolosamente, nel 1911 e nel 1959.
In quest’ultimo caso i medici lo avevano dato proprio per spacciato quando, dopo l’arrivo della Madonna pellegrina di Fatima a San Giovanni Rotondo, il 6 agosto 1959, Padre Pio fu risanato improvvisamente, tra lo stupore e la gioia dei suoi devoti.
“Esiste una scorciatoia per il Paradiso?”, gli fu domandato una volta. “Sì”, lui rispose, “è la Madonna”. “Essa – diceva il frate di Pietrelcina – è il mare attraverso cui si raggiungono i lidi degli splendori eterni”. Esortava sempre i suoi figli spirituali a pregare il Rosario e a imitare la Madonna nelle sue virtù quotidiane quali l’umiltà, la pazienza, il silenzio, la purezza, la carità. “Vorrei avere una voce così forte - diceva - per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna”.
Lui stesso aveva sempre la corona del rosario in mano. Lo recitava incessantemente per intero, soprattutto nelle ore notturne. “Questa preghiera – diceva Padre Pio – è la nostra fede, il sostegno della nostra speranza, l’esplosione della nostra carità”.
Il suo testamento spirituale, alla fine della sua vita, fu: “Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario”.
Intorno alla sua figura in questi anni si sono scritti molti fiumi di inchiostro. Un incalcolabile numero di articoli e tantissimi libri; si conta che approssimativamente sono più di 200 le biografie a lui
dedicate soltanto in italiano. “Farò più rumore da morto che da vivo”, aveva pronosticato lui con la sua solita arguzia. Quella di Padre Pio è veramente una “clientela” mondiale. Perché tanta devozione per questo san Francesco del sud?
Padre Raniero Cantalamessa lo spiega così: “Se tutto il mondo corre dietro a Padre Pio – come un giorno correva dietro a Francesco d’Assisi - è perché intuisce vagamente che non sarà la tecnica con tutte le sue risorse, né la scienza con tutte le sue promesse a salvarci, ma solo la santità. Che è poi come dire l’amore”.

(Autore: Maria Di Lorenzo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Pio da Pietrelcina, pregate per noi.

*Beate Purificazione di San Giuseppe Ximenez Ximenez e Maria Giuseppa di Santa Sofia Del Rio Messa - Vergini e Martiri (23 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beate Martiri Spagnole Carmelitane della Carità” Vergini e Martiri
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
+ Benicalap, Spagna, 23 settembre 1936
Beatificate l'11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II

Martirologio Romano: Nel villaggio di Benicalap nello stesso territorio in Spagna, Beate martiri Sofia Ximénez Ximénez, madre di famiglia, Maria della Purificazione di San Giuseppe Ximénez e Maria Giuseppa del Río Mesa, vergini dell’Istituto delle Suore Carmelitane della Carità, che attraverso la dura prova del martirio pervennero alla gloria che non conosce fine.
Beate Apollonia Lizarraga (Apollonia Del SS. Sscramento) e 24 compagne
Si tratta di religiose spagnole dell'Istituto delle Suore Carmelitane della Carità, martirizzate in luoghi e date diverse durante i primi mesi della persecuzione religiosa verificatasi nell'ambito della guerra civile spagnola (1936-39).
La causa della loro beatificazione fu introdotta a Roma il 2 luglio 1959.
Le 25 martiri sono: la superiora generale della congregazione (Lizarraga, Apollonia del SS. Sacramento), 9 suore componenti la comunità di Cullera (Valenza), 12 suore della comunità della Casa di Misericordia di Valenza, 2 suore appartenenti ad altre comunità e la nipote di una di queste ultime. Ximénez, Purificazione, e sua nipote Del Rio, Maria Giuseppa, originarie rispettivamente di Tarragona e di Barcellona.
La Ximénez era una religiosa ben nota tra le Carmelitane della Carità: possedeva qualità e spirito soprannaturale eccezionali.
Dopo una perquisizione nella casa di sua sorella Sofia, dov'era rifugiata, fu arrestata insieme ai familiari il 23 settembre 1936.
I cadaveri della Ximénez, della sorella Sofia, del figlio di lei Luigi, e della nipote Maria Giuseppa, furono trovati all'incrocio di Campanar e Benicalap, a Valenza.
La Positio super martyrio inerente alle ventiquattro Carmelitane della Carità è stata depositata presso la Congregazione delle Cause dei Santi il 20 dicembre 1999.

(Autore: Maria Concepción Lopez – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Purificazione di San Giuseppe Ximenez Ximenez e Maria Giuseppa di Santa Sofia Del Rio Messa, pregate per noi.

*Santa Rebecca - Moglie d’Isacco (23 settembre / 24 Dicembre)

Nipote di Abramo, seconda moglie di Isacco, madre di Giacobbe e di Esaù.
Etimologia: Rebecca = avvince (gli uomini) con la bellezza, dall'ebraico
Nipote, moglie, cugina, madre di patriarchi, Rebecca è una delle più interessanti figure femminili della Bibbia; essa quasi come un filo d’unione, è presente nel racconto biblico, che narra di Abramo del quale era nipote, di Isacco suo cugino e poi sposo, di Giacobbe ed Esaù dei quali era la madre.
Rebecca il cui nome in ebraico “Ribqah” ha il significato di ‘corda’ e in senso figurato “che avvince con la sua bellezza”, compare per la prima volta nel Libro della Genesi al cap. 24,15, ripetendosi sporadicamente fino al cap. 28.
Il patriarca Abramo, molto vecchio e avanzato negli anni, essendo stato benedetto da Dio in ogni cosa, decise di dare una moglie al figlio Isacco per assicurare una discendenza alla sua stirpe; così incaricò il capo dei suoi servi Eliezer, persona di grande fiducia, di cercare una sposa adatta, escludendo le donne della terra di Canaan, i cui abitanti erano dediti al culto degli idoli; anzi secondo il principio dell’endogamia, in uso presso le tribù seminomadi, la donna doveva appartenere ad una tribù dalle comuni origini dello sposo.
Quindi il servo si avviò, con una carovana di dieci cammelli e con molti doni, verso la regione dell’alta
Mesopotamia, dov’era la parentela di Abramo, giungendovi verso sera.
Si recò al pozzo, luogo preferito abitualmente nel mondo orientale, per conversare, riunirsi, contrattare e incontrarsi; per il suo simbolismo di fecondità e di vita, il pozzo era considerato il luogo ideale presso il quale combinare un matrimonio.
Qui mentre attendeva, che le donne e le fanciulle come di consueto, a sera venissero ad attingere l’acqua, il servo pregò il Signore di dare un segno per riconoscere la futura sposa di Isacco, anzi è lui stesso a stabilirlo “Ebbene la giovinetta alla quale dirò ‘Abbassa per favore la tua anfora e lasciami bere’ e quella dirà ‘Bevi e anche ai tuoi cammelli darò da bere’, sarà quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco, e da questo conoscerò che tu hai usato benevolenza al mio padrone!”.
Così sin dal primo approccio deve essere chiaro, che sarà Dio a guidarlo nella scelta, perché la donna che sarà moglie del futuro patriarca Isacco, fa’ parte anch’essa del disegno e della promessa divina.
E mentre era in attesa, ecco avvicinarsi al pozzo ad attingere l’acqua, la giovinetta di nome Rebecca, che era figlia di Betuel, a sua volta figlio di Milca e di Nacor, fratello di Abramo; avvenente di aspetto, vergine, gradevole nei modi; Rebecca risalì con l’anfora riempita, allora Eliezer le andò incontro chiedendole per favore un po’ d’acqua da bere; la ragazza subito gli porse l’anfora dicendo: “Bevi, signor mio!. Anche per i tuoi cammelli attingerò, finché abbiano bevuto abbastanza”.
E così fece, versando nell’abbeveratoio per gli animali, l’acqua rimasta nell’anfora e ritornando al pozzo per riempirla di nuovo, finché non si fosse colmato a sufficienza per dissetare i cammelli.
Il servo di Abramo rimase sul bordo ad ammirare l’operato della ragazza, convinto che quella era la sposa cercata; le offrì dei doni in oro e Rebecca si presentò dicendo della sua parentela e lo invitò a riposarsi per la notte nella sua casa.
Ritornata dai suoi, Rebecca mostrò alla madre e al fratello maggiore Labano, i doni ricevuti; la figura del fratello Labano entra nel racconto biblico con l’atteggiamento del padrone di casa, nonostante fosse ancora vivo il padre Betel; egli mette in atto la prassi del “fratiarcato”, cioè il predominio del fratello maggiore nei confronti delle sorelle ancora nubili, pertanto Labano si recò al pozzo, dov’era il servo di Abramo in attesa e lo invitò con cortesia ad essere ospite con tutta la carovana nella sua casa.
Con atto di umiltà e servizio nei confronti dell’ospite, Labano fece la lavanda dei piedi e diede il via alla cena dell’accoglienza.
Ma Eliezer volle prima dire il motivo della sua presenza, cominciando con il raccontare le vicende del suo padrone Abramo, che aveva avuto da Sara sterile, l’atteso erede Isacco; si vede che pur essendo Labano e Rebecca pronipoti di Abramo, non erano informati sui dettagli della vita del loro zio; allora le distanze erano abissali e i contatti difficili.
Poi il servo proseguì nel raccontare l’incarico ricevuto di trovare una sposa per Isacco, fra la parentela di Abramo e il suo giuramento di adempiere a ciò; inoltre l’incontro al pozzo con Rebecca e la convinzione che il Signore avesse disposto tutto ciò.
A questo punto il servo domandò ai familiari se la giovane verrà concessa ad Isacco; la risposta affermativa venne non solo da Labano il fratello, ma anche dal padre Betuel, inserito a questo punto nel racconto biblico: “È dal Signore che la cosa procede, non possiamo parlarti né in male né in bene.
Ecco Rebecca davanti a te; prendila e và e sia la moglie del figlio del tuo padrone, così come ha parlato il Signore”.
Il giorno dopo, Eliezer volle ripartire per tornare da Abramo e avuto il consenso anche di Rebecca, lasciò la casa che l’aveva ospitato, seguito da lei accompagnata solo dalla balia.
I suoi familiari nel salutarla proferirono l’antica rituale benedizione: “O tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti la porta dei suoi nemici!”.
Il racconto della Bibbia si sposta poi nel deserto meridionale del Negheb, con Isacco che stava rientrando dalla zona del pozzo di Lacai-Roi, il quale alzando gli occhi vide all’orizzonte avvicinarsi la carovana do Eliezer; anche Rebecca lo vide, scivolò dal cammello e domandò al suo accompagnatore chi fosse quell’uomo che veniva loro incontro e il servo rispose: “È il mio padrone”, allora Rebecca si coprì il viso con il velo che nascondeva il viso delle donne.
Dopo aver ascoltato dal servo tutto l’accaduto, Isacco accompagnò la cugina Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara, perché ormai era lei la ‘principessa’ del clan; poi la prese come moglie e l’amò.
Termina così il lungo capitolo 24 della Genesi, tutto dedicato alla figura di Rebecca; poi si continua a parlare di lei in modo più diradato nei capitoli seguenti.
Quando sposò Rebecca, Isacco aveva 40 anni e come già successo per sua madre Sara, moglie di Abramo, anche la sua sposa dopo molti anni non gli dava figli, pertanto supplicò il Signore per lei e Dio l’esaudì e Rebecca divenne incinta a 60 anni.
Questo essere sterile delle mogli dei patriarchi e più un fatto simbolico che reale, il cui valore sta ad indicare che i futuri figli, saranno un dono straordinario del Signore; così fu per Abramo e Sara riguardo il figlio Isacco; per Isacco e Rebecca per i gemelli Esaù e Giacobbe; per Giacobbe e Rachele per il figlio Giuseppe, ecc.
Rebecca ebbe una gravidanza abbastanza pesante, perché i due gemelli si urtavano l’un l’altro dentro di lei; alla sua domanda perché ciò avveniva, il Signore rispose. “Due nazioni sono nel tuo grembo e due popoli dalle tue viscere si separeranno. Un popolo prevarrà sull’altro popolo e il maggiore servirà il minore”.
Al parto nacquero due gemelli, il primo uscì rossiccio di peli e fu chiamato Esaù, il secondo uscì nell’atto di trattenere il fratello per il calcagno e fu chiamato Giacobbe.
Una volta cresciuti, questi due gemelli prenderanno professioni diverse come diversi erano i loro caratteri; Esaù era un forte cacciatore e per questo preferito da Isacco, Giacobbe invece amava la tranquillità della tenda e preferito da Rebecca.
A questo punto ci fermiamo con il racconto biblico, che prosegue con la storia propria di Esaù e Giacobbe e degli episodi che caratterizzarono i loro rapporti, come il cedere del diritto di
primogenitura da parte di Esaù, per un piatto di lenticchie; l’inganno per ottenere la ‘benedizione’ di Isacco ormai cieco, su Giacobbe al posto del fratello, ecc.
Rebecca ormai anziana, compare in secondo piano a fianco del figlio Giacobbe, nell’atto di spingerlo a ricevere la benedizione del padre-patriarca al posto di Esaù; poi ancora la si incontra mentre saluta e benedice Giacobbe mandato a Paddan-Aram, nella casa di suo fratello Labano, per sfuggire all’ira e vendetta del fratello Esaù.
Isacco morì verso i 180 anni, di Rebecca non viene detto che età avesse quando morì, certamente meno del marito, che come tutti i patriarchi, furono benedetti da Dio con una lunga vita, proprio per il loro compito di guida del popolo di Dio.
E anche Rebecca come le altre mogli di patriarchi, fu portatrice della benedizione divina, pertanto fu seppellita nella tomba di Makpela a Hebron, in terra di Canaan, accanto ad Abramo, Sara e Isacco suo marito.
Per tradizione Rebecca, considerata fra le figure sante e benedette della Bibbia, viene ricordata il 23 settembre, giorno della celebrazione anche di un’omonima martire spagnola del I secolo.
Si può aggiungere che nella liturgia Romana, essa viene ricordata anche il 24 dicembre, insieme a tutti i Santi antenati di Cristo del Vecchio Testamento.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Rebecca, pregate per noi.

*Beata Sofia Ximenez Ximenez - Madre di famiglia, Martire (23 Settembre)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia" - Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Sofía Ximénez Ximénez nacque a Valencia il 15 ottobre 1876. Ricevette la prima comunione e la cresima nel Collegio del Sacro Cuore delle Suore Carmelitane.
Si sposò nel 1905 nella Cappella di “Nuestra Señora de los Desamparados” con il sig. Carlo del Río
Díez de Bulmesnella, già vedovo e padre di tre figli, con il quale ebbe quattro figli.
La vita di famiglia fu molto religiosa. Rimase vedova il 27 maggio 1927. Membro dell’Azione Cattolica, partecipò ad altre associazioni apostoliche.
Si dedicò alla formazione dei poveri e alla carità, essendo un’ottima catechista. Nella persecuzione religiosa accolse a casa sua tre religiose: sua sorella, una sua figliastra e una sua cugina, carmelitana della Carità.
Fu imprigionata e fucilata il 23 settembre 1936 a Benicalap (Valencia) insieme a suo figlio Luis, ritenuto prete, alla sua figliastra e a sua sorella. La sua beatificazione è stata celebrata da Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Sofia Ximenez Ximenez, pregate per noi.

*San Sosso (Sossio, Sosio) di Miseno - Martire (23 Settembre)

Miseno, 205 - Pozzuoli, 19 settembre 305
Martirologio Romano: A Capo Miseno in Campania, San Sossio, diacono e martire, che, come riferisce il Papa San Simmaco, desiderando sottrarre il suo vescovo alla morte, trovò invece inseme a lui la morte, ottenendo a ugual prezzo ugual gloria.
San Sosio nacque a Miseno nel 205 d.C., secondo quanto riportato dal martirologio del Venerabile Beda.
Esistono differenti versioni circa il vero nome del santo, tra Sosio, Sossio e Sosso. Tra gli studiosi è prevalente l'opinione che si tratti di un nome di origine latina, Sosius, nome di una gens romana. Le parole Sossus e Sossius dovrebbero essere una derivazione osca, con la caratteristica doppia "s" sibilante.
Fu uno dei più ardenti animatori di gruppi dei primi cristiani. Giovanni Diacono lo definì "uomo nel quale si erano affollati tutti i carismi della Grazia"; a dimostrare la fama di santità di cui godeva ancora in vita basti ricordare che prelati illustri sentivano il bisogno di venire a Miseno a conferire col serafico Diacono. Papa Simmaco ce lo mostra zelantissimo fino al sacrificio, e fu talmente ripieno di Spirito Santo che il suo consiglio fu richiesto anche dal grande vescovo nolano San Gennaro. Durante una di queste visite, nel 304, San Gennaro, celebrando la Santa Messa della terza domenica di Pasqua, vide apparire sul capo di Sosio, mentre questi leggeva il Vangelo, una fiamma simile a quella discesa sulla fronte degli Apostoli il giorno della Pentecoste.
San Gennaro, rivelata agli astanti la visione, abbracciò il giovane profetizzandone il prossimo glorioso martirio.
La persecuzione avviata l'anno prima da Diocleziano era nel frattempo giunta al suo culmine e Miseno, sede della flotta pretoria imperiale, era un luogo estremamente pericoloso per i cristiani:
non per questo San Sosio limitò la sua opera, proseguendo con fervore nella predicazione della parola di Cristo contro i falsi idoli. Tradito da delatori, fu condotto in carcere a Pozzuoli e torturato affinchè abiurasse la sua Fede.
Lo stesso san Gennaro, che pur non ignorava il pericolo cui si esponeva, si recò a fargli visita in carcere e in quell'occasione fu imprigionato anch'egli, insieme a Desiderio e Festo. Tutti furono destinati ad essere dati in pasto alle belve nell'Anfiteatro di Pozzuoli, ma una serie di eventi miracolosi non consentì di eseguire la condanna: condotto dunque alla Solfatara, San Sosio fu decapitato insieme ai suoi compagni il 19 settembre del 305.
Il suo corpo fu traslato a Miseno il 23 settembre dello stesso anno, che fu fissato come giorno della sua festa. La distruzione di Miseno da parte dei Saraceni provocò la migrazione della popolazione verso l'interno, con la successiva fondazione di Frattamaggiore: qui i misenati portarono con loro il culto del Santo, facendone il Patrono della città.
I Benedettini, che ai principi del X secolo ne ritrovarono le spoglie fra le rovine della chiesa misenate, ne custodirono il corpo a Napoli, presso il convento di San Severino, preservandolo dalle scorrerie dei Saraceni: grazie a loro se ne diffuse il culto in Campania, nel Lazio e persino in Africa.
Nel 1807, in seguito alla soppressione del convento ad opera di Napoleone, le spoglie del Santo insieme a quelle dell'Apostolo del Norico San Severino, che per tanti secoli avevano riposato accanto nel convento dei Benedettini, furono traslate nella Chiesa madre di Frattamaggiore, dove ancora oggi sono oggetto dell'amore e della venerazione di tutti.
Il santo è particolarmente venerato anche a Castro dei Volsci (Frosinone). Il popolo lo invoca efficacemente contro i mali delle ossa.

(Autore: Franco Zullo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Sosso di Miseno, pregate per noi.

*Santa Tecla di Iconio - Martire (23 Settembre)

Venerata a Seleucia (la moderna Selefkie in Asia Minore) è la Santa, fra le molte che portano questo nome, di cui si posseggono i documenti più antichi e il cui culto ha avuto una diffusione straordinaria sia in Oriente che in Occidente. Ciò nonostante un destino di oscurità storica copre la sua personalità. Santuari in suo onore sorsero in tutto il mondo antico perfino in Puglia e a Milano, dipinti, statue, ipogei, lapidi, affreschi sono sparsi in tutto il mondo allora conosciuto specie in Spagna e Germania, tutti raffiguranti momenti e simboli del suo leggendario martirio.
La si vede quasi sempre con un leone a fianco per la tortura subita con le belve e una colonna con il fuoco alla base, simbolo del suo martirio. Altra leggenda vuole che la santa vivesse negli ultimi anni della sua vita in grotte sotto una collina: all'approssimarsi dei nemici, era penetrata nella roccia che si era rinchiusa su di lei. In Italia abbiamo una statua nel Duomo di Milano e un grande quadro del Tiepolo a Santa Tecla d'Este nella chiesa a lei intitolata. (Avvenire)

Patronato: Osimo. Malati di cancro alle ossa.
Etimologia: Tecla = (forse) gloria a Dio; oppure lucente, dal greco
Emblema: Palma
Venerata a Seleucia (la moderna Selefkie in Asia Minore) è la santa, fra le molte che portano questo nome, di cui si posseggono i documenti più antichi e il cui culto ha avuto una diffusione straordinaria sia in Oriente che in Occidente.
Ciò nonostante un destino di oscurità storica copre la sua personalità; la colpa di ciò è del presbitero dell’Asia Minore che, secondo Tertulliano aveva composto per affetto verso San Paolo, un romanzo fantastico sui suoi viaggi e sulla conversione della vergine Tecla a Iconio (Anatolia, Turchia), Questi Acta Pauli et Theclae degli ultimi trent’anni del II secolo, benché riconosciuti falsi dallo stesso autore, (che per questo fu deposto dall’ufficio) e rifiutati nel Decreto Gelasianum, hanno riempito tutte le successive recensioni sulla vita di Tecla che ci sono giunte.
L’eccessiva leggendarietà del racconto della sua vita, è in contrasto comunque con la citazione della sua esistenza fuor di ogni dubbio espressa dai martirologi antichi e dai monumenti esistenti in ogni epoca.
Commemorata nel Martirologio Geronimiano con la dizione “S. Tecla d’Oriente”, nei sinassari bizantini è citata come “protomartire” al 24 settembre e alla stessa data è iscritta nel Calendario marmoreo napoletano. Innumerevoli menzioni vi sono nei libri liturgici greci e latini come pure nelle opere dei Padri sia orientali che occidentali.
Santuari in suo onore sorsero in tutto il mondo antico perfino in Puglia e Milano, dipinti, statue, ipogei, lapidi, affreschi sono sparsi in tutto il mondo allora conosciuto specie in Spagna e Germania,
tutti raffiguranti momenti e simboli del suo leggendario martirio. La si vede quasi sempre con un leone a fianco per la tortura subita con le belve e una colonna con il fuoco alla base, simbolo del suo martirio.
Altra leggenda vuole che la santa vivente negli ultimi anni della sua vita in grotte sotto una collina, all’approssimarsi dei nemici, era penetrata nella roccia che si era rinchiusa su di lei.
Il suo culto fiorì proprio in quella zona presso Seleucia, il cui vescovo Basilio, verso la metà del V sec., scrisse due libri sulla vita e i miracoli di Tecla.
In Italia abbiamo una statua nel Duomo di Milano e un grande quadro del Tiepolo (sec. XVIII) a Santa Tecla d’Este nella chiesa a lei intitolata quale patrona del paese e in ricordo dello scampato pericolo di una pestilenza.
Il nome è tuttora molto usato specie nei paesi di lingua tedesca.
Nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 24 settembre.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Tecla di Iconio, pregate per noi.

*Santa Ulpia Vittoria - Martire, Venerata a Chiusi (23 Settembre)

Fin dal 1634 erano state ritrovate in Chiusi le catacombe di S. Mustiola (sec. III); ad esse, nell'anno 1848, si aggiunsero le catacombe di Santa Caterina, situate sotto una collina, lungo la Via Cassia. Da queste catacombe furono estratti alcuni "corpi santi", tra cui quello di Ulpia.
La sua tomba era situata nell'angolo della parete di fondo del cubicolo, nel punto dove inizia l'ambulacro segnato col numero 10 nella planimetria annessa ad una dissertazione tenuta sull'argomento dall'archeologo Domenico Bartoliní, il 10 luglio 1852. Varie e discordanti sono state le supposizioni fatte dai diversi studiosi sulle origini, sull'epoca e sulle attività svolte in vita da questa presunta martire.
Il 4 luglio 1852 fu redatto un processo verbale per la traslazione delle reliquie di Santa Ulpia, di San Quinto Velio Giuliano, di San Luciano e di Santa Nerania dalle catacombe di Santa Caterina alla cattedrale di Chiusi, mentre il vescovo, con suo decreto del 30 giugno 1852, aveva riconosciuto l'autenticità delle reliquie e le aveva dichiarate appartenenti ai suddetti martiri della fede cristiana in Chiusi.
Il papa Pio IX concesse, con Decreto della Congregazione dei Riti del 13 giugno 1853, la Messa propria solenne da celebrarsi nei giorni festivi di detti santi martiri, lasciando al vescovo la facoltà di fissarne la data.
La festa in un primo tempo si celebrava il mercoledì di Pentecoste e solo piú tardi fu fissata al 23 settembre. Durante il colera dell'anno 1855 Chiusi fu l'unico centro abitato che nella zona fu quasi risparmiato dal morbo. Gli abitanti attribuirono il fatto alla protezione dei loro santi martiri ed in particolare di Santa Ulpia.

(Autore: Giacomo Bersotti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Ulpia Vittoria , pregate per noi.

*Beato Vincenzo Ballester Far - Sacerdote e Martire (23 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Martirologio Romano: Nel villaggio di Benisa nel territorio di Valencia in Spagna, Beato Vincenzo Ballester Far, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione, affrontò il glorioso combattimento per Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Vincenzo Ballester Far, pregate per noi.

*San Zaccaria - Padre di Giovanni Battista (23 Settembre)

Padre di San Giovanni Battista, San Zaccaria, come racconta San Luca, al tempo di Erode re della Giudea, era sacerdote del Tempio ed aveva sposato una delle figlie di Aronne, Elisabetta, cugina di Maria.
Etimologia: Zaccaria = memoria di Dio, dall'aramaico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Zaccaria ed Elisabetta, genitori di San Giovanni Battista, Precursore del Signore. Elisabetta, accogliendo in casa sua Maria, sua parente, piena di Spirito Santo, salutò la Madre del Signore benedetta tra le donne; Zaccaria, sacerdote, pieno di spirito profetico, alla nascita del figlio, lodò Dio redentore e predisse il prossimo avvento di Cristo, che verrà dall’alto come sole che sorge.
L'unica fonte d'informazione è Lc. 1. Zaccaria era sposo di Santa Elisabetta. Ambedue discendenti da famiglie sacerdotali. Zaccaria apparteneva alla ottava classe sacerdotale, quella di Abia, una
delle ventiquattro stabilite da David per regolare i turni di servizio settimanale nel santuario (1 Par., 24, 10). Risiedeva nella città sacerdotale di Ain Karem, a sette Km. ad Ovest di Gerusalemme nelle montagne di Giuda, al tempo di Erode il Grande.
Zaccaria ed Elisabetta erano «giusti», cioè pii, santi, perché osservavano irreprensibilmente la legge di Dio (Lc, 1, 6). Ciò nonostante non avevano, né potevano avere figli, essendo ambedue ormai vecchi e Elisabetta anche sterile (Lc., 1,7). Però Zaccaria pregava ardentemente per avere la grazia di un figlio. Egli fu ascoltato e ottenne il figlio miracolosamente (Lc, 1, 13). Designato a sorte ad offrire l'incenso nel Santo, sull'altare dell'incenso (onore al quale solo una volta in vita poteva essere ammesso un sacerdote [Tamid, V, 2]) e mentre il popolo pregava negli atri del tempio, l'angelo Gabriele apparsogli alla destra dell'altare dell'incenso, gli annuncia che, secondo la sua preghiera, Dio gli concederà un figlio da Elisabetta, al quale dovrà porre il nome di Giovanni. Egli avrà la missione di preparare la via al Messia, non berrà bevande alcooliche e sarà motivo di gioia per molti. Sarà grande davanti a Dio.
Zaccaria stenta a credere alle parole dell'angelo, perciò chiede un segno che ne comprovi la verità. L'angelo di risposta presenta le sue credenziali, mettendo in risalto la sua dignità di assistente davanti a Dio e di ambasciatore per la missione a Zaccaria, a cui predice che rimarrà muto fino alla nascita del figlio, per non aver creduto alle sue parole.
Questo mutismo doveva servire a Zaccaia come segno richiesto. Subito Zaccaria rimase muto. Il popolo comprese che egli aveva avuto una visione nel Santo. Terminato il suo turno settimanale, Zaccaria torna ad Ain Karem e poco dopo Elisabetta concepisce. Tutta compresa del miracolo che si era realizzato in lei, si tiene nascosta nel silenzio per cinque mesi. Dio però lo fa noto alla Ss.ma Vergine, sua parente, per mezzo dello stesso angelo Gabriele per confermare che a Dio nulla è impossibile. La Vergine si reca a Nazareth da Elisabetta nel quinto mese di gravidanza di lei e vi rimane fino alla nascita del figlio. Nell'ottavo giorno, durante la circoncisione, contro la proposta dei parenti che volevano imporgli il nome di Zaccaria, Elisabetta propone il nome Giovanni e Zaccaria conferma scrivendo il nome su di una tavoletta.
Immediatamente Zaaccaria cessò di essere muto e forse anche sordo, fu ripieno di Spirito Santo e cantò il sublime cantico Benedictus, nel quale si esalta la misericordia di Dio nel visitare e redimere il suo popolo per mezzo di un discendente della casa di David, conforme alle profezie ed al giuramento fatto ad Abramo. Rivolgendosi al bambino predice che sarà profeta dell'Altissimo e preparerà la via al Signore per illuminare quelli che sono nelle tenebre e guidarli alla salvezza nella visita di colui che sorge dall'alto.
Alcuni vorrebbero considerare il racconto di Luca Midrashico. Però questa ipotesi è molto lontana dall'essere solidamente provata.
Dopo questi avvenimenti Zaccaria non ricorre più nel N. T. ma solo nella tradizione apocrifa. L'identificano infatti o con Zaccaria figlio di Barachia ucciso tra il tempio e l'altare (Mt., 23, 35), oppure lo fanno uccidere dai Giudei perché difendeva il diritto della Vergine ad abitare con le vergini nell'atrio del tempio (cf. Origene, Comm. in Mt., in PG, XIII, coll. 1631 sg.), oppure sarebbe stato ucciso dai sicari di Erode nella strage degli innocenti (Protoevangelo di Giacomo, XXIII-XXIV).
Nella vita di Zaccaria c'è un'ombra. È incredulo all'annunzio celeste della nascita di un figlio per la quale aveva pregato con molto ardore. Per credere ha bisogno di un segno. Non si può peraltro condannare per la richiesta di questo segno, poiché non vengono ripresi per la stessa cosa Abramo (Gen., 13, 8), Gedeone (Giud., 6, 36-37) ed Ezechia (2 Reg., 20, 8) e perché lo stesso Dio lo propone a Mosè (Es., 3, 12) e ad Acaz (Is., 7, 11). Zaccaria non dubitava che Dio potesse esaudire la sua preghiera, ma forse egli dubitava della realtà della visione angelica e perciò l'angelo presenta le sue credenziali ma allo stesso tempo con il mutismo gli dà una punizione che è anche un segno.
Per il resto Zaccaria è canonizzato da Luca (1, 6) come uomo giusto, scrupoloso, osservante della legge di Dio e sacerdote esemplare, dotato anche dello spirito di profezia e degno di essere padre di colui che è il più grande dei nati di donna (Lc, 7, 28), più che un profeta, il precursore del Messia (Lc., 7, 26-27; Mt., 11, 9-11).
Culto: Il Martirologio Romano commemora Zaccaria al 5 novembre, seguendo Floro. Beda lo pone al 6 settembre I Greci lo commemorano al 5 settembre; l'invenzione delle sue reliquie l'11 febbraio Esse furono portate a Costantinopoli il 415, ma non si sa da dove.Il 28 ott. si commemora la dedicazione della basilica di San Zaccaria a Costantinopoli. A Roma Zaccaria è onorato sempre al 6 novembre, specialmente nella basilica Lateranense, dove si custodisce una reliquia del suo capo.
Autore: Bonaventura Mariani
Iconografia: Sebbene talvolta confuso, nelle più antiche rappresentazioni, col profeta omonimo (v. ad esempio, i mosaici della Cappella Palatina di Palermo), Zaccaria viene, nella sua personalità di padre del Battista, raffigurato con le vesti e contrassegni sacerdotali, e gli sono dati come attributi l'incensiere e un cartiglio o una tavoletta recante il nome di Giovanni.
Di questa figura venerabile e imponente abbiamo numerose rappresentazioni e tra esse ricorderemo la statua della cattedrale di Meissen (XIII sec.), quelle della chiesa dedicata appunto a San Zaccaria in Venezia (sec. XIV) e un dipinto del Ribera (sec. XVII) del Museo di Rouen.
Ma più frequenti sono le immagini in cui Zaccaria compare in qualche modo collegato agli episodi relativi alla nascita del Battista. Lo ritroviamo infatti dapprima come personaggio secondario nella
scena della Visitazione: nelle sculture della cattedra di avorio di Massimiano a Ravenna, in cui è presente, con San Giuseppe, all'incontro fra Maria ed Elisabetta, nella miniatura del Breviario Grimani (sec. XV) della Bibl. Marciana di Venezia, nella miniatura del sec. XV del libro di Ore di Etienne Chevalier a Chantilly e nel dipinto del Rubens (sec. XVII) nella Gall. Borghese di Roma.
Ma la figura di Zaccaria acquista maggior rilievo quando si giunge al tema della nascita del Precursore: lo vediamo, ad esempio, barbuto, paludato in vesti solenni nel ciclo di affreschi del sec. XI della chiesa di S. Pietro a Tuscania (Viterbo) o in quelli del sec. XIII, ispirati alla Leggenda Aurea, opera di Lorenzo e Jacopo Salimbeni a Urbino.
A queste serie particolarmente interessanti vanno aggiunte rappresentazioni dovute a mano illustre, come, ad esempio, i bassorilievi della chiesa di Notre-Dame di Clermont-Ferrand (sec. XII), l'affresco di Giotto in Santa Croce a Firenze, la formella delle porte di bronzo di Andrea Pisano del Battistero di Firenze e, ancora, l'affresco del Ghirlandaio in Santa Maria Novella e il dipinto di Andrea del Sarto nel Chiostro degli Scalzi, sempre a Firenze.
Vanno poi segnalate in particolare le scene relative alla leggenda propria del santo e in special modo al martirio, che trova una delle sue più antiche rappresentazioni nella miniatura del Menologio di Basilio II (sec. XI) e che poi compare frequentemente nelle serie di episodi già ricordati.

(Autore: Caterina Colafranceschi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Zaccaria, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (22 Settembre)
*San

Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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